Di chi è la colpa per i video ads alla mercé dei minori?

La posizione ufficiale di Israele, di Google e di Apple, oltre che quella di tutte le altre società che si occupano di realizzare le app di gaming

02/11/2023 di Gianmichele Laino

Tutti lo sanno, nessuno è colpevole. O – quantomeno – si dichiara tale. La questione dei video ads che sono stati pubblicati in diverse app di gaming utilizzate molto spesso da minori (ad esempio Angry Birds, tanto per fare un esempio, ma anche altri giochini ampiamente diffusi sul mercato europeo) è sotto gli occhi di tutti, una sorta di elefante nella stanza di cui tutti si accorgono ma per cui nessuno vuole prendersi le responsabilità. Dopo la pubblicazione di questi video e la segnalazione che è stata fatta da diverse emittenti internazionali – la Reuters su tutti -, ci sono state diverse reazioni. Queste reazioni hanno confermato la presenza dei video, ma non hanno individuato delle responsabilità nella catena di pubblicazione dei contenuti. In realtà, qui gli attori coinvolti sono tanti: innanzitutto, colui che ha commissionato la campagna pubblicitaria (nel caso, come abbiamo detto, le istituzioni israeliane, che hanno confermato la paternità di questa stessa campagna pubblicitaria); poi, i vari store che danno visibilità e ospitalità ai developer di app: stiamo parlando, nella fattispecie, dell’Apple Store e del Google Play Store; infine, le aziende che sviluppano queste app con giochi online. Il committente della campagna pubblicitaria dovrebbe conoscere i veicoli attraverso cui questa campagna viene diffusa. Allo stesso modo, le app di gaming dovrebbero sapere quali contenuti pubblicitari vengono distribuiti sulle proprie piattaforme. Infine, Apple Store e Google Play Store dovrebbero vigilare su queste app, nel caso in cui contengano contenuti non in linea con le policies che abbiamo esaminato in quest’altro articolo.

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Responsabilità video Israele-Hamas: di chi è la colpa per quanto accaduto?

Invece, sembrano tutti cadere dal pero. Israele ha affermato – come detto – di aver effettivamente prodotto il video con quei messaggi molto forti (la frase utilizzata è stata: «Vogliamo essere sicuri che coloro che ci fanno del male pagheranno un prezzo pesante»), ma – attraverso le parole del responsabile del digitale del ministero degli Esteri – ha affermato di non avere idea di come quei contenuti siano finiti su questa tipologia di app. Anzi, per tutta la campagna di comunicazione relativa alla risposta di Israele ad Hamas, il ministero degli Esteri ha specificato a tutti i rivenditori di advertising che il contenuto sarebbe dovuto essere vietato ai minori di 18 anni.

Nessuna delle terze parti coinvolte ha affermato di avere responsabilità per la comparsa di questo contenuto ads sulle piattaforme di gaming, Interrogati da Reuters, coloro che hanno progettato le varie applicazioni di gaming non hanno risposto a richieste di commento. Segno tangibile che, probabilmente, qualcosa non ha funzionato a questo livello della catena di distribuzione del contenuto: le app di gaming sono sicuramente state l’ultimo baluardo tra chi ha commissionato la campagna pubblicitaria (anzi, propagandistica), ovvero Israele, e l’utente finale. Se è stato quest’ultimo baluardo a crollare, evidentemente è possibile indicare qui le maggiori responsabilità.

Non sono da meno, tuttavia, nemmeno le Big Tech che hanno “messo in vetrina” queste applicazioni. Si mostrano, nella teoria, molto rigide e severe con i contenuti delle varie applicazioni e poi omettono il controllo su un tema così importante come l’advertising violento. Certo, controllare ciascuna pubblicità richiede uno sforzo importante (ma dove è finita la massima “da grandi poteri derivano grandi responsabilità”?), ma strutture di quel genere hanno la possibilità, in teoria, di effettuare queste azioni di monitoraggio. A volte, al massimo, trascorre del tempo prima che intervengano. Ma qui non stiamo parlando nemmeno di questo livello. Apple e Google, secondo quanto riportato da Reuters, hanno scaricato le responsabilità dell’accaduto sui developers.

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