La Corte dei Conti boccia il reddito di cittadinanza: doveva abolire la povertà, dà lavoro al 2% degli aventi diritto
24/06/2020 di Redazione
Avevano chiamato anche il super esperto della Mississippi State University, Mimmo Parisi, per individuare un meccanismo (quello dei navigator) chiamato a risolvere il problema della povertà in Italia. Il reddito di cittadinanza, che era stato annunciato dai balconi di Palazzo Chigi con sorrisi e con pugni al cielo, si è rivelato essere un grande flop, secondo le ultime rilevazioni della Corte dei Conti. Quest’ultima ha intravisto un problema di fondo, non tanto relativo all’erogazione degli assegni – che pure presenta ritardi che poi andremo a esaminare – quanto nella cifra complessiva degli aventi diritto che, grazie al reddito di cittadinanza, poi è in grado di trovare un lavoro.
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Reddito di cittadinanza, doveva abolire la povertà: è arrivata la bocciatura della Corte dei Conti
Fausta Di Grazia, procuratore generale della magistratura contabile, ha messo in evidenza quanto segue: «Dai dati degli uffici di controllo risultano essere state accolte circa 1 milione di domande, a fronte di quasi 2,4 milioni di richieste, delle quali, secondo elaborazioni di questo Istituto, soltanto il 2% ha poi dato luogo ad un rapporto di lavoro tramite i Centri per l’impiego».
Insomma circa 20mila persone avrebbero trovato un lavoro con il reddito di cittadinanza, mentre il sistema – una volta a regime – aveva previsto un inserimento nel mercato molto più impattante. Del resto, con i tanti problemi legati alla disoccupazione, in Italia, era sembrato difficile sin dall’inizio posizionare tutti i percettori del reddito di cittadinanza perché risultava chiaro che trovare un milione di posti di lavoro non sarebbe stato semplice.
I ritardi nell’erogazione del reddito di cittadinanza
A completare ulteriormente il quadro, la Corte dei Conti ha evidenziato anche come gli assegni vengano erogati in ritardo. Complessivamente, invece che con una cadenza mensile, il reddito di cittadinanza viene erogato ogni 49 giorni, con ritardi che sono cresciuti fino a 11 giorni in quest’ultimo periodo. Un problema che non sta nella disponibilità economica, quanto nei meccanismi che, purtroppo, non sembrano essere conformi a una misura di questa portata. Un fallimento su tutta la linea che, in questo momento, rischia di sottrarre risorse preziose al Paese che potrebbero essere impiegate in altri settori.