Il reCaptcha di Google, ovvero come la macchina impara a leggere grazie a noi

Come una cosa che noi riteniamo essere fastidiosa, in realtà ci mostra un lato piuttosto inquietante

04/12/2020 di Redazione

Nel nostro viaggio all’interno dell’etica del web, ci siamo imbattuti in un aneddoto piuttosto curioso, che è bene condividere perché risponde a una delle domande che – in navigazione – ci poniamo spesso: a cosa diamine serve il reCaptcha di Google? Perché dobbiamo dichiarare di non essere un robot o una macchina qualsiasi? Lo strumento ci identifica soltanto oppure serve anche alla macchina che ce lo propone per i suoi scopi?

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Come funziona il reCaptcha

Veniamo al punto. Il reCapctha è quella stringa di numeri e di lettere – ma molto spesso è formato anche da immagini che occorre individuare correttamente, come tessere all’interno di un mosaico – che alcuni portali richiedono all’utente per verificare la sua identità umana, evitando l’accesso a quei servizi di macchinari o di robot. Il sistema è stato acquistato da Google nel 2009 (come spesso capita, i grandi OTT si appropriano successivamente di invenzioni altrui, quando intravedono dei grandi margini di possibilità per il loro business). Si stima che, nell’arco di una giornata, siano prodotte circa 100 milioni di interazioni con i reCaptcha.

Cosa c’è di strano? Quando abbiamo parlato dell’etica che ruota intorno al web con Joe Toscano – ex Experience Designer di Google -, si è toccato anche questo argomento: spesso, senza accorgercene, lavoriamo per i grandi giganti del web, che utilizzano le nostre quotidiane interazioni con la rete per acquisire una marea di dati che – alla fine dei conti – hanno un valore enorme se moltiplicato per tutte le persone che navigano in internet.

Il reCaptcha e la macchina che impara a leggere

Il reCaptcha è uno dei motivi che sta alla base di questo fenomeno. Quando l’utente dà indicazioni a Google sulla stringa di caratteri che si trova a digitare, altro non fa che insegnare alla macchina a leggere. Quante volte, ad esempio, ci è capitato di doverci scervellare per capire se la stringa del reCaptcha contenesse uno zero o una “o”? In base alla risposta che ciascun utente ha dato e in virtù del peso statistico di una risposta sull’altra, la macchina deciderà il segno che sarà zero e il segno che sarà “o”.

Insomma, è grazie a noi – grazie a una semplice digitazione sulla tastiera – che un algoritmo complesso si affina. Il meccanismo di funzionamento del reCaptcha è soltanto uno dei tanti esempi per comprendere come, in realtà, la rete si stia in qualche modo servendo di noi.

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