Quei lavori ben pagati che nessuno vuole fare

MANCANO CENTO PANETTIERI – Per dimostrare la vitalità e la disponibilità delle persone basta buttare un occhio sul web per capire come vengono accolte le grida di dolore dei settori in crisi. Il Corriere della Sera mesi fa aveva parlato dell’allarme lanciato da Vinceslao Ruccolo, presidente dell’associazione panificatori abruzzesi, aderente alla Confesercenti. Ruccolo, fornaio di San Vito Chietino, è convinto che nella sua regione manchino 100 panettieri. “In Abruzzo sono tanti i forni artigianali che non trovano manodopera e il problema, che esiste da anni, ora si è accentuato. Un fornaio con la qualifica ottiene circa 2.500 euro netti al mese in busta paga. Uno stipendio che, con gli straordinari e la produttività, arriva facilmente a tremila. È vero che si lavora nelle ore notturne, di solito da mezzanotte alle otto, ma c’è anche chi finisce prima e inizia prima. Quasi sempre, invece, rispondono alle offerte di lavoro solo gli extracomunitari e, ultimamente, neanche quelli».

DECLINO D’ITALIA? – I commenti non è che fossero tanto lusinghieri, più che altro a causa della diffidenza relativa al potersi garantire certe cifre lavorando di notte impastando il pane. A colpire particolarmente sono le parole di una persona, firmatasi goldenchild, la quale ha scritto: ” Invece da un annetto a questa parte, in articoli come questo o anche quelli di Di Vico, si invitano i giovani ad andare a fare panettieri, falegnami, idraulici e a non lamentarsi troppo. Direi che la linea editoriale del corriere va in parallelo col declino dell’economia italiana”. Panettieri uguale declino dell’economia italiana. Così è, se vi pare.

NUMERI DA CAPOGIRO – Imolaoggi ha rilanciato la storia di Vinceslao Ruccolo facendo però qualche cosa in più, ovvero pubblicare i contatti dell’assopanificatori abruzzese. Casualmente in questo caso i giudizi hanno lasciato posto alle richieste su Facebook di persone bisognose di un lavoro, prima ancora di poter scegliere se e come guadagnare i propri soldi. Qualche settimana fa avevamo affrontato l’argomento aiutandoci anche con uno specchietto tratto da “La Stampa” che ci faceva capire l’assurdità di un mondo del lavoro, quello italiano, dove da un lato i giovani predicano miseria minacciando di emigrare mentre dall’altro un’azienda impiega sette mesi e mezzo per trovare un falegname.

 

Mancano le figure specializzate. Non ci sono più manutentori, idraulici, tornitori, posatori. Gi anziani non vanno via da questi posti perché hanno imparato sul campo e possono godere del fatto che i giovani, già inseriti in un sistema formativo diverso non sono quasi capaci di tenere in mano un cacciavite. Le scuole non sono in grado d’insegnare un mestiere e soprattutto sono le famiglie a non lasciare scampo.

CHI CREDE A QUESTE CIFRE? – Servizi, comunicazione, spettacolo. Questi i nuovi “miti”. L’artigiano? La ruota di scorta, l’ultima spiaggia per non morire di fame, in quanto si tratta di un settore disprezzato dall’immaginario collettivo. Se i lettori del Corriere della Sera criticavano i tremila euro dei panettieri cosa bisogna fare per i 2.200 euro mensili come stipendio d’ingresso di un maglierista? E i 22 mila euro l’anno come orafo junior da Bulgari? Parliamo di Italia, non di chissà quale Paese. Per quale motivo Ikea ha voluto spostare la sua produzione dalla Cina all’Italia? E’ l’affermazione dell’eccellenza, significa dare un valore alla perizia, all’arte, alla tecnica, alla sensibilità.

QUESTIONE DI SCELTE – Poniamo una domanda molto semplice: perché giornali, riviste, autorità, spingono affinché la gente si butti su un altro settore redditizio e privo di concorrenza visto che non è per nulla ambito? Non possiamo essere tutti dottori, tutti medici, tutti avvocati, tutti giornalisti. Il sistema salterebbe. Esistono delle eccellenze che riescono a ritagliarsi il proprio spazio ed altri che devono cambiare. Altrimenti salta il banco. Un lavoro è sempre meritevole di rispetto perché è il modo che abbiamo d’inserirci nella società civile. Anche Confindustria si è mossa spingendo i ragazzi a iscriversi negli istituti tecnici e a scegliere un percorso nel campo dell’industria attraverso il progetto Teknicamente. Il problema è due volte di testa: da un lato non ci si vuole “sporcare” le mani, dall’altro l’artigiano viene visto come un mestiere povero, limitato, dagli orizzonti ridotti. Nonostante uno stipendio base superiore a quello di un impiegato.

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