Quali sono i lavori minacciati dall’intelligenza artificiale

Stando alle stime del Fondo Monetario Internazionale, il 60% delle occupazioni è a rischio

16/01/2024 di Enzo Boldi

L’intelligenza artificiale vista come minaccia per il mondo del lavoro era il classico segreto di Pulcinella. La storia dell’evoluzione industriale racconta di come, gradualmente, le macchine abbiano prima integrato e poi sostituito le attività che, in passato, erano effettuate dagli esseri umani. D’altronde, lo sviluppo di nuove tecnologie in grado di supportare e sveltire alcune mansioni è sono sempre state accompagnate da luci (in termini di produttività) e ombre. Ma oggi, ci sono veramente delle professioni a rischio AI? Secondo il Fondo Monetario Internazionale, il rischio è molto alto. Per quasi tutti.

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In un post sul blog del FMI, la direttrice generale Kristalina Georgieva ha commentato un’analisi effettuata da un team di esperti su questo argomento che riguarda il presente, ma soprattutto il futuro del mondo del lavoro e dell’occupazione. A livello globale. I numeri sono molto preoccupanti, visto che l’AI sta diventando sempre più diffusa e le scelte da parte di molte piccole, medie e grandi aziende stanno andando proprio in quella direzione. Basti pensare alle notizie più recenti che parlano di grandi tagli da parte di Big Tech come Google e Amazon (che arrivano dopo scelte analoghe da parte di altri grandi attori del mondo digitale e tecnologico).

Professioni a rischio AI, quali rischiano di sparire

L’analisi commentata da Georgieva mostra numeri da brivido per quel che riguarda le professioni a rischio AI, con una visione globale e un focus specifico basato sul tipo di “economia” dei singoli Paesi del mondo.

«Quasi il 40% dell’occupazione globale è esposta all’intelligenza artificiale […]. Nelle economie avanzate, circa il 60% dei posti di lavoro potrebbe essere influenzato dall’intelligenza artificiale […]. Nei mercati emergenti e nei paesi a basso reddito, invece, l’esposizione all’intelligenza artificiale dovrebbe essere rispettivamente del 40% e del 26%». 

Differenziazioni notevoli, su cui occorre fare un ragionamento: queste percentuali sono relative all’esposizione di molte attività lavorative all’evoluzione dell’intelligenza artificiale. Dunque, non si parla espressamente di dati legati alla “sostituzione” dell’uomo in favore della “macchina automatizzata”, ma di integrazioni. Ovviamente, non siamo ingenui: la storia del mondo ci insegna che le integrazioni, molto spesso, si trasformano in sostituzioni. In questo caso, in licenziamenti.

Alta esposizione e bassa complementarietà

L’analisi del Fondo Monetario Internazionale, nel valutare quali siano le professioni messe a rischio dall’intelligenza artificiale, basa lo studio su due concetti: esposizione all’AI e complementarietà all’AI. I lavori più minacciati sono quelli in cui è alta l’esposizione e bassa la complementarietà:

«Le professioni ad alta esposizione e a bassa complementarità sono ben posizionate per l’integrazione dell’AI, ma è più probabile che l’AI sostituisca i compiti umani. Ciò potrebbe portare a un calo della domanda di lavoro e a una crescita salariale più lenta per questi lavori. Gli addetti al telemarketing sono un esempio lampante».

Per tutti gli altri, il rischio è piuttosto marginale. Perché ci sono lavori ad alta complementarietà che possono prevedere un’integrazione (come chirurghi e avvocati, con l’AI in grado di dare un supporto, senza sostituirli), così come quelli a bassa esposizione (lavori manuali e “artistici”). Ovviamente, però, non si tiene conto di eventi già accaduti: redazioni giornalistiche ridotte all’osso per fare spazio ad algoritmi in grado di selezionare “notizie”, o anche ingegneri ed esperti sostituti da quelle stesse macchine utilizzate, fino a poco prima, per lo sviluppo.

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