Zitta zitta, Google ha cambiato la privacy policy sull’addestramento AI con i dati degli utenti

Il colosso di Mountain View non lo ha annunciato espressamente, limitandosi a modificare l'informativa inserendo anche i sistemi basati sull'intelligenza artificiale

13/07/2023 di Enzo Boldi

Una formalizzazione di ciò che avveniva anche in passato, ma viene definito con esattezza l’uso che viene fatto dei dati utenti raccolti durante le loro navigazioni nel web. I cambiamenti alla privacy policy di Google sono passati sotto traccia, senza alcun annuncio in pompa magna. Ma si tratta di modifiche strutturali, almeno nella definizione, che spiegano – con pochi dettagli, però fortemente intuibili – come i nostri dati vengano utilizzati dal gigante di Mountain View per addestrare diversi strumenti basati sull’intelligenza artificiale sviluppati dal colosso tecnologico.

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All’interno dell’ultima versione della privacy policy Google, infatti, quel che prima veniva indicato come una pratica commerciale senza alcuna definizione d’uso, oggi trova conferma dopo le modifiche entrate in vigore lo scorso 1° luglio. Proprio nel giorno in cui è avvenuto il passaggio a Google Analytics 4 – quindi uno dei più grandi cambiamenti, attesi da tempo dopo le polemiche e le decisioni dei mesi scorsi -, l’azienda di Mountain View ha reso palese quel che prima era scritto tra le righe.

Privacy policy Google, le modifiche per addestrare l’AI

All’interno del testo precedente, infatti, Google già spiegava che i dati degli utenti venivano utilizzati per scopi commerciali. Dentro questo calderone, ovviamente, c’era anche il settore di ricerca e sviluppo. Non solo per prodotti come “Maps” o “Translate”, ma anche per quel che riguarda tutti gli altri prodotti e servizi sviluppati (e in fase di sviluppo) dall’azienda guidata da Sundar Pichai. Dunque, anche tutto ciò che è strettamente legato all’intelligenza artificiale.

Ora questa dinamica non vive più con il favore delle tenebre, ma è dichiarata nella versione aggiornata dell’informativa privacy:

«Ad esempio, potremmo raccogliere informazioni pubblicamente disponibili online o da altre fonti pubbliche per contribuire all’addestramento dei modelli di AI di Google e alla creazione di prodotti e funzionalità quali Google Traduttore, Bard e funzionalità AI Cloud. Oppure, se le informazioni della tua attività vengono visualizzate su un sito web, potremmo indicizzarle e visualizzarle sui servizi Google». 

L’azienda ci tiene a specificare che i dati utilizzati per addestrare i modelli AI sono quelli pubblici. Cioè quelli disponibili online o presenti in altre fonti pubbliche. Insomma, sembra la stessa dinamica che ha già portato a una class action contro OpenAI e che ora, come abbiamo spiegato in un nostro precedente approfondimento, a una causa proprio nei confronti del del colosso di Mountain View.

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