«Si sta perdendo tempo e non è colpa del Garante»: così Brignone commenta il parere negativo sulla raccolta firme per il referendum

Abbiamo intervistato la segretaria di Possibile per avere un'opinione in merito al parere negativo del Garante che ha bocciato lo schema di dpcm sul referendum online

13/04/2022 di Martina Maria Mancassola

Ieri vi abbiamo raccontato del parere negativo dell’Autorità Garante per la protezione dei dati personali sul progetto di decreto per la sottoscrizione online dei futuri referendum; oggi abbiamo chiesto a Beatrice Brignone, Segretaria di Possibile, di commentare la notizia: «Si sta perdendo tanto tempo e non è colpa dell’Autorità Garante. L’Autorità Garante fa il suo lavoro e l’ha fatto bene dal mio punto di vista. Il lavoro dell’Autorità Garante è condivisibile, molto meno quello del Ministero e della Presidenza del Consiglio in generale». Il parere negativo sulla raccolta firme per i referendum online del Garante boccia, dunque, il lavoro di chi ha operato allo schema di dpcm ma non lo strumento.

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Parere negativo su raccolta fime referendum online: per il Garante il dpcm è incompleto

Abbiamo chiesto a Beatrice Brignone di commentare la notizia del parere negativo del Garante per la privacy, dato che la stessa si è sempre battuta affinché il governo introducesse una piattaforma per permettere ad ogni cittadino di votare digitalmente senza pericoli per la privacy, tant’è che il 9 aprile chiedeva sul suo profilo Twitter il motivo per cui la promessa di Colao non era ancora stata mantenuta a tale data.


«Non posso dare torto al Garante. In linea di principio non c’è un parere negativo sullo strumento della piattaforma, questo è il punto principale da cui partire», dichiara la Segretaria di Possibile, partito fondato nel 2015, aggiungendo che l’aspetto positivo è che non è un parere negativo sullo strumento, ma sul merito, cioè su come è stato fatto il decreto, quindi sulla struttura della piattaforma. Ciò che conforta è che, almeno da un punto di vista giuridico generale, non ci sono ostacoli per quel che riguarda la piattaforma: «Questo è un risultato positivo che possiamo portare a casa. Invece, per quel che riguarda il merito, i rilievi dell’Autorità li ritengo condivisibili. Mi sembra di capire che la struttura del Dpcm è un po’ come siamo abituati da troppo tempo a vedere le leggi, cioè leggi che rimandano a qualcos’altro, ad esempio al manuale operativo, a soggetti che non sono indicati», e in un decreto così delicato, che tratta della gestione dei dati, è evidente che non possa mancare una regolamentazione dettagliata.

Insomma, il parere negativo del Garante fa tornare alla ribalta la cattiva prassi del legislatore – e in questo caso del ministro -, che è quella di rimandare sempre a qualcos’altro, a qualcun altro, rendendo così la gestione di qualsivoglia materia sempre estremamente complessa.

La segretaria di Possibile solleva anche un altro dubbio, allineandosi, ancora una volta, ai rilievi del Garante, relativo al meccanismo di conservazione dei dati per cinque anni: «Conservare i dati sensibili per 5 anni: non se ne capisce il motivo», soprattutto nel momento in cui le firme risultano valide, sufficienti, per richiedere il referendum, la petizione o la legge d’iniziativa popolare. Perché, dunque, sarebbe necessario conservarli per un arco temporale così lungo? In generale, la prima valutazione da fare in merito è politica cioè «di disappunto per l’incompletezza dello schema». Il decreto risulta essere stato scritto male e la conseguenza non può che essere un ulteriore ritardo. Colao aveva annunciato che la piattaforma sarebbe partita il primo gennaio, quindi al primo gennaio il decreto avrebbe dovuto essere pronto ovvero già oggetto di parere positivo dalle Autorità garanti. Sicuramente, il primo punto da considerare sarebbe dovuto essere quello della sicurezza nella gestione dei dati.

Il problema è, allora, non tanto il parere negativo dell’Autorità garante e i suoi rilievi che «sono piuttosto puntuali e condivisibili» secondo Brignone, ma il lavoro che c’è stato nella preparazione dello schema di dpcm. E l’assurdità è che mentre le piattaforme private di raccolta delle firme funzionano, sebbene a costi elevatissimi, il governo risulta incapace di creare una piattaforma pubblica che assicuri le stesse garanzie di quelle private: «Noi – continua Brignone – al momento stiamo raccogliendo le firme con una piattaforma privata: perché la piattaforma privata riesce ad essere più sicura rispetto a quella messa in piedi da uno schema della Presidenza del Consiglio? Non è impossibile farlo bene, se quelle firme sono considerate valide – come è avvenuto per i referendum sulla cannabis e sull’eutanasia legale -, e quelle che stiamo raccogliendo anche».

Quali sono le conseguenze

Il timore è che, con questo parere negativo, lo Stato tardi ancora di più nell’adozione della piattaforma: secondo la Segretaria di Possibile, il parere negativo nel Garante «dovrebbe spronare a dire “possiamo e dobbiamo fare un lavoro migliore”, non abbiamo fatto una bella figura», però, non si sa se davvero la Presidenza dei Ministri la penserà così. Nel frattempo, ci si augura che il governo «lavori per recuperare non per dire “ecco i cattivi ci hanno messo un ostacolo”», soprattutto perché l’Autorità Garante non ha ostacolato in alcun modo l’introduzione della piattaforma come strumento di raccolta delle firme. Il problema attiene, infatti, solo a come è stato impostato il dpcm. Si spera che il parere negativo non venga considerato un ostacolo per far slittare ulteriormente l’introduzione della piattaforma, ma una necessità, cioè che «bisogna darsi da fare per recuperare».

Una democrazia non può non avere uno strumento digitale che permetta di esercitare un diritto costituzionale, quale quello di voto. Certo, è necessario riuscire a conciliare i due diritti costituzionali che vengono in gioco nel caso di specie: diritto alla privacy – alla sicurezza dei dati -, e diritto di votare. Questo bilanciamento, però, non pare così difficile da raggiungere, se si guarda alla realtà, ovvero al fatto che la piattaforma privata è in grado di farlo, mentre il pubblico pare di no, con le stesse garanzie. Il problema non è di poco conto, perché le piattaforme private hanno chiaramente dei costi rilevanti. Beatrice Brignone conclude dichiarando: «L’accesso alla democrazia dev’essere a tutti i costi, un accesso per tutti al di là degli strumenti economici che si hanno. Questa piattaforma non è uno strumento che ci siamo inventati, ma è stata promessa da Colao come pronta a partire dal 1 gennaio e invece al 13 aprile abbiamo un parere negativo dell’Autorità Garante che forse doveva essere interpellata mesi fa». Tra l’altro, voci vicine a Colao hanno dichiarato, in passato, che dal punto di vista tecnico «era tutto pronto». Chi lavora con questi strumenti, nell’ambito della gestione dei dati, anche solo nella gestione di una newsletter, sa quante attenzioni ci debbano essere nella conservazione e nell’utilizzo dei dati, quindi né Colao né chi lavora con lui non può non averle adottate nello schema di dpcm. In breve, l’ennesimo strumento italiano inadeguato: «Una bocciatura a cui bisogna mettere una pezza il prima possibile».

Foto IPP/Mario Romano

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