Savona, ministro gialloverde, rivela i dati in base a cui si evince che quel governo fece aumentare lo spread

L’occasione è stata la presentazione annuale della relazione della Consob sullo stato attuale del sistema finanziario in Italia. In un passaggio del suo discorso, il presidente Paolo Savona – che Matteo Salvini e Luigi Di Maio hanno voluto fortemente come numero uno di Consob – ha riportato alcuni dati degli analisti che sottolineano come nel 2019 (quindi all’indomani dell’esperienza dell’esecutivo gialloverde) il differenziale Btp/Bund sia sceso a causa di una più elevata fiducia degli investitori internazionali sulle politiche europee del Paese.

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Paolo Savona e l’ammissione sull’aumento dello spread con i gialloverdi

Il sottinteso è che, quando era in carica il governo giallo-verde (di cui Savona faceva parte come ministro degli Affari Europei), la fiducia degli investitori era più bassa e il livello dello spread più alto. A isolare questo passaggio su Twitter ci ha pensato il giornalista de Il Foglio Luciano Capone.

«L’importanza della fiducia negli equilibri del mercato finanziario è stata asseverata nel 2019 da un’importante discesa dello spread sul rendimento dei titoli di stato – ha detto Savona nel suo passaggio -, pur in presenza di una politica monetaria europea inizialmente più cauta e un lieve peggioramento del saggio di crescita reale. Gli analisti attribuiscono tale comportamento al venir meno dei timori di un cambiamento di denominazione del debito pubblico italiano per tornare a una moneta nazionale».

Ma vi ricordate quando Paolo Savona era stato indicato dai gialloverdi come ministro dell’Economia di un governo Conte 1 e quando il presidente della Repubblica Sergio Mattarella impedì questa circostanza? In quell’occasione si arrivò addirittura a invocare l’impeachment per il capo dello Stato. Oggi, la stessa persona che era molto vicina alle teorie no euro e al ritorno a una valuta nazionale, ammette che gli analisti hanno segnalato un miglioramento del mercato finanziario all’indomani di un cambio di esecutivo, con conseguente virata a U sulla politica monetaria dell’Italia, a un passo dal ritorno alla lira nel 2018 e poi ritornata saldamente (?) pro-euro con il nuovo governo a metà 2019.

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