PagoPA (anche) a Poste? Un problema per la libera concorrenza
Quanto indicato all'articolo 20 del decreto PNRR ha provocato polemiche e analisi sulle prospettive future
07/03/2024 di Enzo Boldi
In un mondo perfetto, al limite dell’utopia, si potrebbe pensare che il passaggio delle quote di PagoPA dal Ministero dell’Economia all’Istituto Poligrafico dello Stato e a Poste Italiane non rappresenti una problematica a livello di mercato libero dei pagamenti digitali verso la pubblica amministrazione. Sappiamo che, però, è sempre meglio prevenire che curare. Per questo motivo, non solo la politica ma anche altri attori del settore hanno messo in evidenza quel che potrebbe accadere con questa cessione di quote. E si parla di concorrenza. E si parla di un possibile – e imminente – ricorso all’Autorità per le Garanzie nel Mercato (ACGM).
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Come abbiamo spiegato in un precedente approfondimento, all’interno del decreto PNRR entrato in vigore lo scorso 2 marzo, viene annunciata – anche se sottotraccia – la cessione delle quote (essendo PagoPA una SPA) che oggi sono al 100% nelle mani del Ministero dell’Economia e delle Finanze: il 51% resta nelle mani esclusivamente pubbliche, con l’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato (di cui il MEF è socio unico); il 49% finirà a un’azienda a trazione pubblica, ma che ha al suo interno anche azionisti privati. Parliamo di Poste italiane.
PagoPA, la composizione dell’azionariato di Poste
Per comprendere a fondo le preoccupazione delle banche (e anche di parte della politica), andiamo a vedere la composizione degli azionisti di Poste Italiane.
La maggioranza delle azioni, dunque, sono in mani pubbliche. Il 35% a CDP (Cassa Depositi e Prestiti, che all’82% è di proprietà del MEF e al 15,93% di Fondazioni Bancarie), mentre il 29,26% è proprio del Ministero dell’Economia e delle Finanze. Al netto delle azioni proprie (0,82%), dunque, quasi due terzi di Poste Italiane è riconducibile al settore pubblico. Ma il 23,08% è di proprietà di investitori istituzionali e il restante 11,85% fa riferimento a investitori individuali. Quindi, privati.
Numeri che vanno letti anche pensando al futuro. È cosa piuttosto nota, che l’attuale governo voglia procedere con la privatizzazione di Poste. Nei giorni scorsi, solo per fare un esempio che concretizza queste intenzioni, è stato presentato un DPCM alla Camera dei deputati per ricevere il parere della Commissione Trasporti e Bilancio. Non si parla di una privatizzazione totale, ma di una nuova vendita di quote che oggi sono in mano al MEF e a CDP. Dunque, i privati potrebbero avere un potere ancora maggiore all’interno di Poste Italiane.
I possibile problemi di concorrenza
Questo quadro generale introduce le preoccupazioni che stanno emergendo in questi giorni. Con il decreto PNRR, infatti, vengono fornite le indicazioni iniziali dell’operazione per il passaggio delle quote azionarie di PagoPA al Poligrafico di Stato (51%) e Poste Italiane (49%). Poste, dunque, sarebbe azionista di minoranza. Ma questo non cambia la situazione. Infatti, in vista di un’imminente passaggio di quote azionarie a privati, anche PagoPA potrebbe incrementare (come riflesso) il peso privato all’interno del quadro azionario. E si potrebbe palesare anche un conflitto di interessi.
Anche perché Poste è già uno dei principali operatori attivi nel servizio PagoPA e finendo nelle sue mani, potrebbero sopraggiungere decisioni a danno degli altri concorrenti (le banche, per esempio) che sono gli altri operatori che consentono l’utilizzo del servizio per pagare, per esempio, le bollette. Ostacoli che potrebbero non diventare reali, ma quando si parla di temi così delicati non si può non pensare alle conseguenze negative che potrebbero essere generate da una decisione e da un’operazione di questo tipo. Dunque, è sempre da tenere un faro acceso sulla possibile creazione di un monopolio. Per questi motivi è possibile che qualcuno – soprattutto le banche – presentino un ricorso all’Antitrust.