Nonostante le policies sulla disinformazione di Twitter, gli account legati a Khamenei in Iran funzionano benissimo

E questo nonostante le diverse sospensioni in passato e nonostante la minimizzazione delle proteste che stanno attraversando l'Iran

06/10/2022 di Redazione

In Twitter, c’è una questione morale? C’è un doppiopesismo nel comportamento tenuto dal social network nei confronti di diversi utenti. Sia rappresentanti di istituzioni (et similia), sia “comuni” cittadini. In passato si è dibattuto molto del caso Donald Trump e del ban ricevuto dalla piattaforma (anche da Meta) dopo le violenze di Capitol Hill. Tutto ciò avrebbe dovuto provocare un precedente che, in linea di massima, ha confermato l’impianto delle “stringenti” regole di policies sulla disinformazione. E invece, come dimostra il caso della guida suprema dell’Iran Ali Khamenei, la dinamica è sempre la stessa: figli e figliastri.

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Mentre proseguono le violenze in Iran contro le donne e i manifestanti che sono scesi per le strade e le piazze di Teheran e delle altre città, la “Guida Suprema” è libera di propagandare le sue fake news attraverso il social dei messaggi brevi. Tante accuse, ovviamente mai correlate da fatti concreti e testimonianze reali, sulla genesi di queste rivolte iniziate dopo la morte di Mahsa Amini e proseguite con l’uccisione e l’incarcerazione di molte altre persone. Moltissimi video in cui parla puntando il dito: contro l’Occidente, contro i “sionisti”. Bufale incontrollate, tradotte in molte lingue. Tutte rilanciate dal profilo ufficiale in lingua indiana (e condivise dalla galassia di altri account in spagnolo, russo e inglese).

Accuse senza contesto, illazioni e tentativi di inasprire i rapporti tra il popolo iraniano sceso in piazza e il regime dell’Iran. Il tutto per cercare di apparire davanti al mondo come la “vittima” e non come il carnefice delle violenze.

Khamenei e il profilo Twitter ancora attivo (nonostante la policies)

Eppure il suo e i suoi profili social sono tutti lì. Ancora lì. Nonostante la policy della piattaforma impedisca – soprattutto a quegli account legati a personalità del mondo istituzionale e politico – di diffondere fake news e pubblicare post che incitano all’odio o alla soppressione dei diritti umani. Eppure, nel recente passato, lo stesso Khamenei fu “vittima” della scure censoria di Twitter. Era l’8 gennaio del 2021 e sui suoi vari profili multi-lingua aveva pubblicato un tweet scettico sui vaccini anti-Covid prodotti dall’Occidente. Post rimosso per violazione della policy, ma non dal profilo in lingua farsi dell’ayatollah.

Questione morale?

All’inizio del 2022, invece, un profilo legato all’enorme galassia di account a cui fa riferimento la “Guida Suprema” dell’Iran è stato sospeso a tempo indeterminato.

L’account @KhameiniSite (che poi è stato dichiarato “non ufficiale” e, quindi, falso) aveva pubblicato un video in cui si simulava l’assassinio di Donald Trump. Per questo motivo, violando le “stringenti” norme della policies di Twitter, la piattaforma social decise di intervenire: prima rimuovendo il post, poi bannando definitivamente quell’account. Reazione differente rispetto a molti altri post in cui ha incitato alla “vendetta” e all’odio. Tweet che, a distanza di quasi due anni, sono ancora presenti sulla timeline.

Ed è qui che subentra il tema della questione morale. Come è possibile che, nonostante la pubblicazione senza soluzione di continuità di fake news sulle rivolte in Iran, su presunti mandanti e azioni coordinate dietro ordine “di qualcuno” (senza fornire alcuna prova a sostegno) i profili di Khamenei continuano a inquinare l’ecosistema social? Dove sono le policies? Per il momento, sono chiuse nel cassetto.

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