Cosa ci aspettiamo dal ministro della Transizione digitale, Vittorio Colao

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La squadra di Mario Draghi si compone di due ministri alla "transizione" (una ecologica e una digitale)

La lista dei 23 ministri di Mario Draghi prevede due dicasteri per la transizione. Una ecologica (quella voluta da Beppe Grillo, che ha convinto il Movimento 5 Stelle a votare sì all’ingresso in maggioranza per questo nuovo esecutivo, il terzo dalle elezioni del 2018), una digitale. L’attenzione a quest’ultimo mondo che la nostra testata sta cercando di far emergere ci impone una riflessione sul compito e sulla persona che è stata scelta come ministro Transizione Digitale, ovvero Vittorio Colao.



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Ministro Transizione Digitale, cosa ci aspettiamo da Colao

Il rapporto dell’Italia con l’innovazione tecnologica è sempre stato molto complesso. Diciamo che, fino a qualche mese fa, questo particolare settore – cruciale per qualsiasi economia moderna – non era stato preso in considerazione dalla politica italiana, che si è sempre dimostrata ostaggio di apparati burocratici offline, cartacei, fatti di timbri e di lunghe code negli uffici pubblici. C’erano stati timidi tentativi in passato, è vero: ma l’innovazione tecnologica veniva sempre visto come qualcosa di accessorio, da abbinare ad altro. Nel 2001, quando l’internet di oggi era solo una intuizione, Silvio Berlusconi scelse Lucio Stanca (un politico nato nel 1941) per il ruolo di ministro per l’Innovazione e le Tecnologie. Questo elemento fu declinato in maniera diversa da Romano Prodi, che fece un primo tentativo di applicare l’innovazione tecnologica alla Pubblica amministrazione, nominando Luigi Nicolais al dicastero per le Riforme e le innovazioni nella PA. Pubblica amministrazione e innovazione erano insieme anche nell’intitolazione del ministero retto da Renato Brunetta nel 2008 e il risultato che tutti ricordano fu quello dell’introduzione dei tornelli negli uffici pubblici per una presunta battaglia contro i fannulloni. Per una strana ironia della sorte, 13 anni dopo Brunetta è ancora ministro, ma l’innovazione – questa volta – è stata scorporata (parliamo sempre di intitolazione, eh) dalla pubblica amministrazione.



Per otto anni, poi, l’innovazione tecnologica non ha trovato spazio nelle squadre di governo, fino alla formazione del Conte-bis. La ministra Paola Pisano (quota M5S) all’Innovazione tecnologica venne salutata come una piacevole sorpresa partorita da quell’accordo politico che era stato stipulato – lo si è visto successivamente – con il solo scopo di fermare l’avanzata elettorale della Lega. L’esperienza di Paola Pisano come ministro dell’Innovazione tecnologica è stata fortemente condizionata dalla pandemia di coronavirus (che ha rimesso al centro del dibattito politico la digitalizzazione dei servizi, visto che – per molto tempo – non ci siamo potuti muovere da casa). Paradossalmente, poteva essere un’occasione, che è stata colta soltanto in parte e in maniera tutto sommato marginale.

Una pagina dedicata del ministero dell’Innovazione Tecnologica mette in fila i risultati ottenuti dalla ministra Pisano: al primo punto vengono evidenziati i risultati nella crescita dell’utilizzo dell’identità digitale SPID, dell’app IO, di Pago PA per i pagamenti della pubblica amministrazione e della carta d’identità digitale. La crescita dell’utilizzo di questi strumenti, tuttavia, non è stata un qualcosa di organico, una esigenza – chiamiamola così – di semplificazione del proprio modo di stare in società che la popolazione italiana ha avvertito. Piuttosto, la crescita di questi strumenti (SPID e app IO su tutti) è stata associata a bonus e a iniziative di carattere economico: l’accesso a questi benefit da parte dei cittadini era direttamente collegato all’utilizzo di questi strumenti. SPID e app IO sono stati percepiti come «l’ostacolo da scontare» per poter ottenere il bonus monopattino, i bonus Covid per i liberi professionisti o per partecipare al cashback di Stato o alla lotteria degli scontrini. Il fine giustifica, forse, i mezzi, ma una crescita di questi strumenti fatta in questo modo lascia il tempo che trova, slegata dalle reali esigenze collegate all’identità digitale.



Tra i risultati del ministero dell’Innovazione tecnologica sono stati inseriti anche il Fondo per l’innovazione e la digitalizzazione (43 milioni in tutto) da assegnare a vari comuni italiani e il progetto per la banda ultra larga che è stata installata in 1715 comuni nel 2020 (prima dell’esperienza di Paola Pisano come ministra, i comuni italiani che ne poteva beneficiare erano soltanto 79). Ma si elenca anche l’app Immuni per il tracciamento dei contagi da coronavirus che, nonostante i riconoscimenti evidenziati sul sito (il massimo punteggio del Massachussets Institute of Technology di Boston o l’apprezzamento del Consiglio d’Europa), ha mostrato evidenti lacune. Così come evidenti erano stati i bug delle altre app di Stato.

Cosa deve fare Colao per la vera transizione digitale

Diciamo che quello di Paola Pisano era stato un tentativo sperimentale, viziato anche dalla mancanza di fondi adeguati per le spese dell’innovazione tecnologica in Italia e da qualche uscita a vuoto (l’esortazione alle compagnie telefoniche a concedere più videochiamate gratis – sic – ai cittadini durante le vacanze di Natale in tempi di pandemia – o l’idea di vincolare l’iscrizione ai social network al proprio SPID, anche per i minorenni). Vittorio Colao, che è stato ai vertici di Vodafone e che ha stilato un piano di rilancio che, dopo qualche settimana, è stato mandato in soffitta dal governo di Giuseppe Conte, ha sicuramente un background solido dal quale partire. L’altra differenza sarà rappresentata dalla pianificazione dei fondi del Next Generation EU (meglio conosciuto come Recovery Fund). In sede di approvazione in consiglio dei ministri, sulla base del documento votato, avevamo stimato che oltre 50 miliardi dei 209 totali sarebbero stati utilizzati per processi di digitalizzazione in vari settori.

Non è chiaro il destino di quel progetto di Recovery Fund italiano: durante le consultazioni di Mario Draghi c’è stata pressione, da parte di alcuni partiti entrati nel governo, affinché possa essere almeno parzialmente riscritto. Dunque, non è chiaro quanti soldi l’Italia avrà a disposizione per i processi di transizione digitale. Sicuramente, però, Colao dovrà mettere mano al sistema a partire dalle sue fondamenta. Dovrà, ad esempio, imprimere una svolta alle app di Stato, renderle più efficienti, più vicine al cittadino, meno disastrose dal punto di vista della propria infrastruttura. Dovrà avviare un discorso serio sull’identità digitale, sfruttandola per un numero maggiore di servizi, per dar vita – magari – a un’Italia a code zero negli uffici della pubblica amministrazione.

Dovrà potenziare la connettività: sebbene la banda ultralarga sia stata installata in oltre 1700 comuni, occorre ricordare che i campanili, in Italia, sono 7918 e che ancora molte aree rurali (ma non solo) sono tagliate fuori dai circuiti dell’industria 4.0 per l’evidente digital divide che le separa dal resto del Paese (che, a sua volta, non brilla per posizionamento, in questo settore, rispetto al resto del mondo). Dovrà abbattere, anche attraverso una campagna di corretta informazione, il pregiudizio generale sul 5G.

Dovrà – e forse questa rappresenta una delle sfide di concetto, generazionali – stare attento all’igiene digitale dei cittadini, al momento invischiati nella giungla dei social network, carichi di hate speech (un buon punto di partenza potrebbe essere quello, a questo proposito, di partire dalle osservazioni del gruppo di lavoro dedicato che ha chiuso il proprio tavolo solo qualche giorno fa) e di problemi legati alla fuga di dati personali. Dovrà gestire i rapporti tra i giganti del web e il mondo dell’editoria italiana, magari seguendo il modello australiano e influenzando – in modo deciso – i lavori del legislatore europeo sul tema. Dovrà essere il garante dell’utilizzo dei social network delle giovani generazioni. Il lavoro è lungo e difficile. Forse un super manager, da solo, non basterà.

Ma la strada per un Paese moderno – che si appresta a guidare i lavori del G20 – o è quella dell’innovazione tecnologica o non è.