Il ricercatore degli studi su Meta che si lamenta per l’assenza di indipendenza degli studi stessi

In questa storia, che è un po' un intreccio di conflitti di interessi, emerge anche l'aspetto del ricercatore che ha partecipato agli studi su Meta e che - sulla stessa rivista che ha pubblicato uno di questi studi - si lamenta della scarsa indipendenza del team di ricerca

08/08/2023 di Gianmichele Laino

Nella vicenda abbastanza paradossale del gruppo di ricerca che ha condotto degli studi sulla presunta polarizzazione degli utenti che utilizzano Facebook, spunta anche quella di un membro di questo team di ricerca – Michael Wagner – che ha pubblicato su Science (la stessa rivista che ha ospitato alcuni studi su questa tematica) il suo dissenso a proposito dell’indipendenza di queste stesse ricerche. Il suo giudizio, infatti, è stato abbastanza netto: «Sebbene il lavoro sia degno di fiducia – scrive nel suo articolo su Science -, sostengo che il progetto non è un modello per future collaborazioni tra industria e accademia».

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Michael Wagner spiega perché il progetto di ricerca non è un modello tra i privati e l’università

Il problema principale è che, nonostante il lavoro sia stato presentato come indipendente, il ricercatore sostiene che questa stessa indipendenza sia stata “vidimata” da Meta, l’azienda che ha fornito dei dati per uno studio che lo riguardava da molto vicino. L’oggetto delle indagini era quello di determinare se, in effetti, l’utilizzo degli algoritmi di Facebook favorisse – come è stato ribadito a più riprese, anche da denunce interne di ex dipendenti di Menlo Park – la polarizzazione del pensiero politico e, di conseguenza, delle modalità di espressione degli utenti, della loro capacità di discernere una notizia reale da una fake news e della possibilità di avviare discorsi basati su dati fattuali.

Il progetto, si spiega, è frutto di una partnership tra Meta e 17 studiosi che lavorano nelle università degli Stati Uniti. Dunque, una collaborazione tra un’azienda privata (una delle principali aziende di questa nuova forma capitalistica digitale) e un consorzio di ricerca frutto dei migliori team di ricerca accademici statunitensi che si occupano di questi argomenti. Sebbene Meta non abbia dato alcuna forma di compenso a tutti i soggetti accademici coinvolti nella realizzazione di questo studio, Michael Wagner evidenzia quali aspetti non sono stati particolarmente trasparenti in questo processo di studio.

«Affinché la ricerca in scienze sociali sugli effetti delle piattaforme di social media e il loro utilizzo sia veramente indipendente – spiega Wagner -, gli accademici esterni non dovrebbero dipendere interamente dall’azienda che collabora per il finanziamento degli studi: dovrebbero invece avere accesso ai dati grezzi che anima le analisi, dovrebbe essere in grado di apprendere dalle fonti interne alla piattaforma come funzionano le piattaforme e dovrebbe essere in grado di guidare la definizione delle priorità del flusso di lavoro». Cose che, a quanto pare, non si sono verificate in queste circostanze specifiche.

A questo si sono aggiunti anche ritardi da parte di Meta nel fornire dati relativi a Facebook e anche errori abbastanza grossolani nei records stessi che sono stati forniti. Inoltre, è stata data troppa importanza, secondo il modo di pensare del ricercatore, a come i risultati dello studio sarebbero stati presentati alla stampa. In più, la contaminazione tra gli accademici esterni e le realtà aziendali di Facebook (con cui sono entrati in contatto) ha influenzato inevitabilmente la visione di alcune problematiche da parte dei ricercatori stessi.

Alla fine del suo contributo, Wagner ha anche spiegato quali dovrebbero essere le best practices per rendere efficienti le collaborazioni tra accademia e aziende private: «Collaborazioni creative tra finanziatori di accademie e social media o, più probabilmente, normative governative e requisiti di condivisione dei dati (ad esempio, il Digital Services Act dell’Unione Europea) che forniscono anche tutele della privacy, nonché strutture definite per incoraggiare e proteggere i ricercatori impiegati nel settore per collaborare, sono necessari per favorire opportunità di borse di studio complete e rivoluzionarie che non richiedono l’autorizzazione di una piattaforma di social media».

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