Quando Marattin scriveva che Vendola avrebbe dovuto «elargire il suo orifizio anale in maniera indiscriminata»

31/10/2019 di Redazione

Luigi Marattin è stato il primo a proporre una sorta di «patente per i social network», con tanto di documento di identità da esibire in caso di iscrizione su Facebook, Instagram o Twitter. L’esponente di Italia Viva ha supportato questa sua proposta basandosi su questi principi: eliminare le fake news, rendere riconoscibili gli utenti che insultano, punire questi comportamenti.

LEGGI ANCHE > Sulla proposta renziana di iscriversi sui social con la carta d’identità

Marattin offense Vendola: il messaggio del 2012

Abbiamo già discusso sulla correttezza del principio e sulla inadeguatezza del metodo individuato da Luigi Marattin. La cosa, alla prova dei fatti, sarebbe impossibile, come dimostra anche la petizione proposta da Italia Viva per supportare la tesi di Marattin. La firma digitale di questa iniziativa può avvenire benissimo senza carta d’identità e può essere effettuata anche attraverso un nominativo falso, come vi avevamo dimostrato.

Ma c’è un altro aspetto che viene contestato a Luigi Marattin negli ultimi giorni. Il deputato di Italia Viva, quando era ancora amministratore di un comune come Ferrara (sempre in quota Partito Democratico), non si era sottratto a una lite virtuale con Nichi Vendola, utilizzando un’espressione violenta e omofoba. Insomma, si era comportato esattamente come farebbe un hater del web.

Marattin offese Vendola: ecco perché la carta d’identità sui social è inutile

Nel 2012, l’allora senatore Pd Marattin aveva scritto dell’ex leader di Sinistra, ecologia e libertà: «Nichi, per usare il tuo linguaggio, ma va a elargire prosaicamente il tuo orifizio anale in maniera totale e indiscriminata». Una perifrasi, il cui contenuto non è affatto elegante. Marattin si è difeso così: «Si è trattato di un equivoco molto sfortunato – dice ora Marattin -. Volevo mandare Vendola a quel Paese e invece di mandarlo semplicemente a quel Paese, cosa che avrei voluto fare, ho voluto ‘imitare’ una delle sue perifrasi. Ma il mio non voleva essere un riferimento alla sua sessualità. Sono passati 7 anni da quel giorno. Oggi sarei meno ingenuo».

Nonostante la replica, tuttavia, si può dire che – visti questi comportamenti – per combattere l’odio sui social network non basterebbe nemmeno il codice fiscale e l’Iban. La retorica dell’insulto e della violenza verbale fa ormai parte, purtroppo, della nostra cultura. Soltanto un totale cambiamento di prospettiva potrebbe far invertire la tendenza. Magari togliendo ai social network quell’autorevolezza di cui tutti, oggi, li investono.

Share this article