L’insostenibile solitudine di Messi – L’editoriale di Alfredo Pedullà

Mi chiamo Leo (Messi) e mi sento sempre più solo solo. Mi chiamo Leo e penso a tutti i fiumi di parole che scrivono quando scatta un Mondiale. Mi dicono che nel mio club, il Barcellona, sono un dio. E che quando devo onorare l’Argentina divento quasi una zavorra. Mi perdo, come se fosse un condizionamento psicologico, oppure chissà cosa.

LEGGI ANCHE – IL MONDIALE E I QUIZ (MONDIALI) DI MERCATO – L’EDITORIALE DI ALFREDO PEDULLÀ

Se potesse parlare, sarebbe questo il Messi-pensiero. Il Mondiale è all’inizio, mica alla fine, qualsiasi sentenza potrebbe essere la fugace rappresentazione di un terribile errore di valutazione. Non si giudica, non si può giudicare, dopo una partita sbagliata. Oppure dopo un rigore scaraventato sul portiere avversario, con la peggiore esecuzione, degna di un neofita del pallone. Ma non ci sono dubbi sul fatto che lui, il re di Barcellona, avverta il malessere di chi, quando indossa la maglia più amata, si trasforma in una specie di paggetto. Oppure in un rospo che sguazza sulla sponda di un fiume, saltellando alla ricerca di una meta che fondamentalmente non c’è.

leo messi
Foto Ansa – Giuliano Bevilacqua/ABACAPRESS.COM

Il Re oggi è nudo, lo hanno spogliato. Con i soliti pregiudizi dettati dai fatti recenti: quando la Seleccion scende in campo, a lui chiedono la luna. Lui, Leo, dovrebbe giocare per la squadra e caricarsela sulle spalle. Non ci riesce. Esattamente come il Barcellona gioca per lui, da sempre, e sono scintille. Risultati assicurati, gol a grappoli, prodezze di un autentico Ufo. Dottor Jekyll e Mister Hyde: c’è un Messi fatato e poi un altro spiritato. C’è il campione tra i campioni, andare alla voce “fuoriclasse”, e c’è l’impacciato interprete che sembra un gregario tra tanti. La differenza è abissale. Troveremo una soluzione, i due affluenti diventeranno un fiume, oppure andremo avanti con questo equivoco?

LEGGI ANCHE > Mondiali 2018: le principali informazioni sulla Coppa del Mondo di calcio in Russia

E poi c’è la storia di quell’insopportabile paragone che rende tutto ancora più complicato. Messi di qua, Ronaldo di là. Messi che non incide, Ronaldo che spacca le partite. Cristiano sì che, caricandosi il Portogallo sulle spalle, lo rende avvincente e anche vincente. Lui che, storia della prima giornata della campagna russa, trascina i suoi compagni e stampa tre francobolli in faccia alla Spagna. Tre-francobolli-tre, mentre il rigore di Messi è una saponetta bagnata da far accapponare la pelle. Proprio nel bel mezzo della controversia contrattuale e che vorrebbe Cristiano più lontano dal Real. Sapete perché? Perché guadagna una miseria, circa venti milioni, circa la metà rispetto a quanto percepisce il suo nemico odiatissimo. E volete che questi discorsi non facciano la differenza durante la campagna di Russia appena avviata e che consumerà altri, avvincenti, capitoli?

L’insostenibile leggerezza di Messi. Che poi, oggi, si chiama insostenibile solitudine di Messi. Alla ricerca di un’indentità perduta. O meglio. quasi mai trovata ogni volta che lascia il club e si mette al servizio del suo Paese calcistico. Non sappiamo come finirà questo film. Sappiamo, soprattutto, che il tempo sta scadendo e che il romanzo non avrà troppi capitoli. Facciamo che l’ultimo non sia un inno alla tristezza infinita.

Share this article