L’Unione Europea sta provando a regolamentare il rapporto tra AI e forza lavoro?

Nell'epoca dei licenziamenti di massa, soprattutto all'interno delle aziende Big Tech, appare evidente la necessità di una normativa affinché l'intelligenza artificiale non sostituisca l'essere umano

25/01/2023 di Enzo Boldi

La cinematografia e parte della letteratura mondiale avevano dipinto scenari tragici per l’uomo, con le macchine – in un futuro lontano – che avrebbero soppiantato in toto l’essere umano. Anche nelle più banali attività quotidiane. Dalla domotica estrema, fino alle auto volanti che si guidano da sole. Nel 2023 quei vaticini si sono verificati solamente in parte, ma proprio negli ultimi mesi è apparsa sempre più evidente una tendenza sempre meno equilibrata: possono coesistere lavoro (umano) e intelligenza artificiale? Il tema è di strettissima attualità, visto quel che sta accadendo anche all’interno delle aziende più floride del mondo, quelle Big Tech che da tempo hanno iniziato con in programma di licenziamenti di massa. Di pari passo con quelle migliaia di persone sollevate dai rispettivi incarichi, le stesse aziende hanno investito fiumi di dollari su progetti basati sull’AI (come il caso di Microsoft con OpenAI, la società che ha creato ChatGPT). Il problema, dunque, non erano le perdite ma la necessità di investire sul futuro. Un futuro che, visto quel che sta accadendo, spinge il mondo del lavoro verso un universo sempre più automatizzato e meno umano.

LEGGI ANCHE > È finita: si è conclusa la vertenza per i licenziamenti di Facebook in Italia

La stessa Microsoft, solo la scorsa settimana, ha annunciato 10mila licenziamenti. Amazon solleverà dai rispettivi incarichi circa 18mila persona. Google ha annunciato il taglio di 12mila posti di lavoro. Meta, la società madre di Facebook, Instagram e Whatsapp ha sollevato dall’incarico circa 11mila dipendenti. Spotify (la più “piccola” tra queste realtà) farà lo stesso con 600 persone (il 6% della forza lavoro attualmente presente all’interno dell’azienda). Tutte queste aziende, però, sono unite da un altro nodo gordiano: rinunciano ai lavoratori, ma investono. Tanto, tantissimo. Non solamente sullo sviluppo di idee già esistenti, ma anche in altri progetti esterni da agglomerare al proprio interno. Come quelli basati sull’intelligenza artificiale.

Lavoro e intelligenza artificiale possono convivere serenamente?

Dunque, la domanda del Secolo digitale è di stretta attualità: lavoro e intelligenza artificiale potranno mai riuscire a instaurare un rapporto di convivenza? Vedendo le recenti evoluzioni, la risposta non può che essere la più pessimistica possibile. E le leggi non sembrano andare nella direzione di protezione del capitale umano, della forza lavoro dell’essere umano all’interno di un’azienda. Norme specifiche, infatti, non esistono e la regolamentazione sembra essere anche molto lontana dai vari dibattiti all’interno delle varie istituzioni (nazionali – che poco possono fare – e internazionali). Un esempio di questa dinamica arriva dall’Unione Europea che sta discutendo – la prima bozza di proposta da parte della Commissione Europea è arrivata nell’aprile del 2021 – dell’Artificial Intelligence Act (AI Act).

Si tratta di un piano normativo comunitario – che poi dovrà essere recepito dai singoli Stati membri – per regolamentare l’utilizzo degli strumenti di intelligenza artificiale da parte delle aziende (ma anche delle istituzioni e degli enti stessi). In particolar modo, il focus principale è quello dei limiti del riconoscimento biometrico e di altri target potenzialmente sensibili. La stessa Commissione proponente ha, infatti, individuato quattro punti focali (dei veri e propri obiettivi):

  • assicurare che i sistemi di IA immessi sul mercato dell’Unione e utilizzati siano sicuri e rispettino la normativa vigente in materia di diritti fondamentali e i valori dell’Unione;
  • assicurare la certezza del diritto per facilitare gli investimenti e l’innovazione nell’intelligenza artificiale;
  • migliorare la governance e l’applicazione effettiva della normativa esistente in materia di diritti fondamentali e requisiti di sicurezza applicabili ai sistemi di IA;
  • facilitare lo sviluppo di un mercato unico per applicazioni di IA lecite, sicure e affidabili nonché prevenire la frammentazione del mercato.

Manca qualcosa? Sì, il riferimento al lavoro. Attenzione però: di lavoro si parla, ma non per quel che riguarda la regolamentazione dei rapporti “di forza” tra l’intelligenza artificiale e l’essere umano dipendente-lavoratore presso un’azienda. Nel testo, infatti, si parla solamente di come gli strumenti basati sull’AI possano essere utilizzati per la selezione della forza lavoro. Dunque, nessuna tutela occupazionale è inserita all’interno di questo regolamento (ancora in fase di valutazione).

Il caso Stati Uniti

C’è chi potrebbe sostenere la tesi: l’AI Act nasce con un altro scopo e non ha nulla a che vedere con il rapporto tra mondo del lavoro e intelligenza artificiale. Ma si potrebbe rispondere con una domanda: visti i tempi correnti, visto quel che sta accadendo da diversi mesi, vista la necessità di prevedere un futuro e un futuribile, perché non normare un rapporto almeno di equità tra la forza lavoro umana e gli strumenti di AI? Un esempio arriva dalle ultime novità: attraverso l’intelligenza artificiale sono stati sostituiti anche (in parte) i dipendenti del customer service (con le chatbot automatizzate che spesso sostituiscono l’essere umano). Eppure nessuno riesce a frenare questo fenomeno.

Neanche negli Stati Uniti, dove hanno sede le più grandi aziende cosiddette Big Tech, il tema viene sollevato da parte delle istituzioni. La Casa Bianca, infatti, sostiene il progetto per una Carta dei diritti dell’Intelligenza Artificiale (AI bill of rights). Si parla di lavoro? Solo di riflesso. Si fa riferimento ai diritti dell’utente consumatore. Ovvero, per esempio, ogni cittadino deve avere la possibilità di scegliere se interfacciarsi con un’intelligenza artificiale o con un’alternativa umano. Ogni cittadino deve poter rinunciare ai servizi automatizzati. Dunque, il tema è affrontato dal punto di vista dei diritti dei cittadini e solo di riflesso fa riferimento al rapporto tra lavoro e intelligenza artificiale. Ovviamente, però, all’interno di questa “Carta” si spiega che un utente può scegliere di rinunciare a un “dialogo” con una macchina, preferendo l’uomo. Quindi, un’azienda deve avere a disposizione una risorsa umana. Un piccolo spiraglio in un universo senza norme.

Share this article