Papà per scelta: la gestazione per altri di Carlo e Christian che racconta la gioia di due papà e la libera scelta di una donna

Nel Pride Month abbiamo deciso di raccontarvi una storia, quella di Carlo e Christian. Loro sono – come indica il nome della pagina Instagram che gestiscono – Papà per scelta. Papà lo sono diventati entrambi, volendolo fortemente, tramite la pratica della gestazione per altri attuabile negli Stati Uniti. Il paese è stato scelto non solo perché la maternità surrogato è legale ma anche «perché la procedura è regolamentata e deontologicamente controllata», come ci racconta Carlo. Mentre parliamo i due gemelli, Julian e Sebastian, sono a letto che fanno il riposino pomeridiano proprio come tutti gli altri piccoli di due anni e mezzo. Il tema della gestazione per altri, che tanto infiamma gli animi delle persone che ci pensano – tra chi si dice pro e chi si dice contro -, spesso nel nostro paese viene narrato solo attraverso le esperienze negative delle persone. Oggi vediamo la storia di due uomini che sono diventati padri grazie al gesto d’amore – non per denaro, che comunque ha un ruolo nel processo – di una donna che ha scelto in piena libertà.

 

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Ogni tanto sento l’esigenza di tornare sul tema maternità surrogata per raccontarvi pezzetto dopo pezzetto una realtà, la nostra, che ha ben poco a che fare con quella raccontata dai media su mercificazione, sfruttamento e compravendita. La nostra è una missione, considerando che troppo spesso l’argomento resta invischiato in un orrido BLABLA ipocrita che prende spunto da singole esperienze negative per ribattezzarla “pratica schiavista che viola i basilari diritti umani” – citazione tratta da una testata giornalistica assai diffusa. Ma una foto vale più di mille parole. Come questa scattata due anni fa, il giorno dell’arrivederci, che ritrae i gemelli versione Polly Pocket con i figli della nostra belly-mommy. Un legame autentico, sincero, tangibile che si rinnova spesso con chiamate oltreoceano e ogni tanto con visite saltuarie che implicano 13 ore a bordo di un intercontinentale. Non c’è traccia di costrizione. Non ci sono pratiche disumane, figli strappati al seno materno, uteri messi all’asta. C’è solo la LIBERA condizione di una donna che ha scelto insieme alla sua famiglia di entrare a far parte della nostra. Diteglielo agli scettici che la maternità surrogata può avvenire consapevolmente. E se la foto non dovesse bastare, vi lascio con le parole che la nostra belly-mommy ci ha dedicato quel giorno. Parole che suonano come un dolcissimo violino in mezzo a decine di tamburi chiassosi e intolleranti. [Today I had to say goodbye to the most amazing family. The love and kindness they have shown me for the last year and a half has been a true blessing. It’s so true that love is everything. How natural parenting has come to them is so incredible!!!! God has truly blessed me with them! I will never forget them and all the love they have shown me, my kids, and my family!!! As they enter the next step in their journey back home I wish them nothing but the best!!!! I love you all so much and I can’t wait to watch those boys grow, and be shown the love you have shown me and my kids] Se non le capite, le cose sono due. O avete bisogno di un interprete, o il vostro cuore non è in grado di tradurre le mille sfaccettature che l’amore può avere. #papàperscelta

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La gestazione per altri raccontata da chi l’ha vissuta e non dal resto del mondo

Qual è la vostra esperienza di gestazione per altri? Come l’avete vissuta voi e come l’ha vissuta la donna che vi ha fatto diventare padri?

“Faccio due passetti indietro. Io e Christian abbiamo sempre voluto diventare padri, ma per motivazioni diverse. Io arrivo da una famiglia tradizionale dove è stato talmente tanto bello essere figlio che, per me, diventare padre è la prosecuzione naturale del meraviglioso lavoro fatto dai miei genitori. Sono stati fonte di ispirazione e quindi quel germoglio di genitorialità è cresciuto dentro di me. Il desiderio di diventare padre è come una componente naturale che è cresciuta dentro di me. Christian invece viene da una famiglia un po’ diversa, ha avuto un padre molto assente e per lui è stato una sorta di riscatto diventare papà. Voleva dimostrare di poter essere un buon padre, considerato che ha fatto da padre sia al fratellino più piccolo che ai fratellatri e alle sorellastre (il papà ha avuto due diverse relazioni). Ha sempre avuto la predisposizione a prendersi cura degli altri. Per lui il desiderio era già ben definito, avendo 44 anni, mentre per me era un sogno un po’ sfumato, avendone 34 e considerando anche che fino a qualche anno fa non esisteva nemmeno l’unione civile per le coppie dello stesso sesso e i diritti delle persone della comunità LGBTQ+ erano ai minimi storici. Voler diventare genitori è stato uno dei primi argomenti seri che abbiamo affrontato, già quando ci raccontavamo nei primi appuntamenti – come capita a tutti quando parli dei tuoi sogni o di come ti vedi tra dieci anni – ed è subito venuto fuori questo desiderio prepotente per entrambi. È comunque il famoso sogno impopolare, quel desiderio proibito e forse questa cosa ci ha facilitato il percorso di innamoramento. Il nostro è stato ovviamente un amore passionale all’inizio, ma anche lì aveva già le linee di un amore maturo, dove inizi già a progettare.”

“Il nostro sogno ha preso forma da quando abbiamo conosciuto lei, Krista. Credo che sia una delle donne più straordinarie che abbia mai conosciuto nella mia vita. La gestazione per altri abbiamo scelto di farla negli USA perché c’è una regolamentazione che rispetta criteri deontologici di scelta libera dove le donne devono dimostrare di non essere al di sotto di una certa soglia di povertà, devono già essere madri per capire cosa significa portare avanti una gravidanza, insomma: devono dimostrare che non lo fanno solo per soldi. Lei adorava l’idea di poter, da una parte, crescere una vita dentro di lei e, dall’altra parte, poter aiutare quelle persone che non possono procreare naturalmente a completarsi sia a livello identitario che come coppia.”

Quando si parla di gestazione per altri sono in molti a dire che non si può trattare della scelta consapevole di una donna, che si tratta di una decisione legata ai soldi. Però non è così.

“No, non è assolutamente così perché c’è questo passaggio che sfugge a molte persone: è lei che sceglie noi. Non siamo noi che scegliamo lei. È lei che decide di intraprendere questo percorso con una coppia, che io chiamo viaggio emotivo e ed emozionale, che è lei che decide di fare con una coppia di genitori intenzionali. Ci si conosce, oltre alle famose chiamate via Skype siamo volati a Las Vegas per conoscere lei e la sua famiglia. Siamo veramente entrati in sintonia, è stato un colpo di fulmine con tutti loro. Sono la nostra famiglia allargata, abbiamo passato le ultime feste di Capodanno insieme nonostante le 14 ore di volo intercontinentale. Lei ha fugato tutti quei dubbi che gli altri ti mettono in testa, quelli delle donne che lo vogliono fare perché hanno bisogno di soldi. Lei non aveva bisogno di soldi, è una donna affermata e ha la sua vita. Ha un marito che fa il poliziotto a Las Vegas in una carica importante, ha alle spalle una bella famiglia con madre e nonna, ha due bambini. Abbiamo immediatamente notato la sua trasparenza e la sua naturalezza nel voler affrontare questo percorso insieme. Si tratta di un salasso (la cifra per tutta la procedura si aggira attorno ai 100 mila dollari) non per quello che percepisce lei o la donatrice di ovulo (che in questo caso è diversa) ma perché negli USA ci sono molti attori che partecipano a questo percorso. Bisogna pagare le spese d’agenzia, le spese ospedaliere. che sono la gran parte delle spese da considerare perché negli USA la sanità è tutta privatizzata e quindi se non sei residente un giorno in ospedale ti può costare anche 1500 dollari. Noi abbiamo firmato una serie di carte per assicurare lei, quando i piccoli sono nati abbiamo pagato i giorni in ospedale come se non fossero residenti negli USA. Sono spese piuttosto importanti e c’è da considerare anche le spese di transfer degli embrioni, la spesa delle trasferte. La cifra alta di cui tutti parlano è vera, ma perché ci sono talmente tanti attori che non si tratta di soldi che uno prende e dà alla belly mummy (cosiddetta mamma di pancia). Lei prende un rimborso mensile perché interrompe le sue normali attività, le si paga il fatto di smettere di lavorare per portare avanti una gravidanza. Ha preso una cifra pari a come se lavorasse con tempo part-time in un autogrill, in un Seven Eleven americano. Non puoi farlo per soldi perché un guadagno sostanziale non c’è. Devi essere predisposto per fare questo. Pensa che quando abbiamo parlato con l’agenzia abbiamo scoperto che il 98% delle donne che vorrebbero partecipare a un programma di surrogacy vengono scartate. Loro fanno un anno di percorso psicologico dove devono essere valutate idonee per intraprendere questo tipo di viaggio. Solo il 2% sono quelle che poi porteranno avanti la gravidanza per una coppia di genitori intenzionali. Questo è rassicurante perché sai che davanti hai qualcuno che è veramente intenzionato a farlo.”

Questa è una narrazione molto lontana da quella che spesso viene fatta della maternità surrogata e che non si riesce a scardinare.

“Esatto. Occorre rovesciare la narrazione perché non è tutto bello o brutto. Ci sono anche esperienze negative nella gestazione per altri. Avere una famiglia tradizionale, una madre e un padre, non è condizione unica e sufficiente affinché i figli crescano in maniera sana. Ogni situazione va analizzata perché unica e singolare. Generalizzare un percorso solo perché in un paese come il nostro, che è molto “mammocentrico”, l’idea che una donna porti avanti la gravidanza per qualcun altro e poi si separi dal bambino non è concepita. Noi Krista la sentiamo molto spesso e i bambini iniziano a capire la figura che è, quello che rappresenta. Hanno ancora due anni e mezzo, quindi hanno limiti imposti dall’età, ma lei fa e farà sempre parte della nostra vita. Lei fa parte della nostra famiglia, è la nostra famiglia. Lo sarà per sempre. Sai, entri in confidenza e ti vedi nel privato, nell’intimo. Anche quando faceva le ecografie, ha fatto in modo che ci fossimo anche noi: andava dal dottore e piazzava il suo I Pad affinché noi potessimo assistere al momento, vedere tutto. Alle 4.30 del mattino ci alzavamo per essere con lei, date le nove ore di differenza. Non ci siamo persi niente, anche se a distanza.”

Papà per scelta: cosa diremo loro quando saranno grandi?

Quando saranno più grandi e dovranno interfacciarsi con la società, quando andranno a scuola, cosa direte ai piccoli rispetto alla vostra famiglia?

“Noi, semplicemente, continueremo a raccontar loro la realtà. Già in parte lo facciamo, nel senso che al nido abbiamo – insieme alle educatrici – studiato un escamotage. Abbiamo creato un album delle famiglie, ci sono fotografie di tutte le famiglie: ci sono quelle con una madre e un padre, la maggior parte, un paio in cui ci sono solo la mamma e il piccolo e poi ci siamo noi, con due papà. Questo libro delle famiglie viene sfogliato tutti i giorni dai bimbi (quando andavano al nido, ovviamente prima del coronavirus) facendo sì che già comincino a familiarizzare con l’idea. Gli altri bambini sono anche eccitati quando c’è la foto di Julian e Sebastian perché sanno che hanno daddy e papà. Christian con loro parla solo inglese e questo ci facilita nella nomenclatura, perché i piccoli sanno di avere un papà e un daddy. Sanno comunque cosa sia la mamma: magari vedono i cartoni animati, la loro zia con la figlia. Gli facciamo capire che la loro cuginetta ha una mamma, che è la loro zia. Noi, semplicemente, gli stiamo fotografando il mondo per come è e non per come gli altri vorrebbero che fosse. Si tratta di un mondo fatto di tante tipologie di famiglia che, in realtà, alla fine sono portate avanti da una sola cosa: il sentimento più puro dell’amore. Sappiamo benissimo che avranno i loro momenti di difficoltà perché arriva una certa età in cui i ragazzini cercano di identificarsi con gli altri e, nel momento in cui ci sarà qualcosa di importante come la famiglia in cui non riusciranno a identificarsi, ci saranno dei momenti di crisi. Noi, però, siamo tranquilli perché sicuri della scelta che abbiamo fatto e del fatto di dar loro tutto quello che possiamo, tutto quello che serve loro. Anche in maniera un po’ presuntuosa forse, non lo so. È molto più di abbastanza quello che riusciamo a dare ai nostri figli, e li vediamo felici e sereni. La risposta, quindi, ce la danno loro tutti i giorni. Sono capricciosi quando devono esserlo, attivi quando devono esserlo e sono cresciuti con noi, sono legati a noi. Si vede che siamo i loro genitori. Anche io all’inizio mi chiedevo: mancherà loro qualcosa? No, perché anche le persone che ci frequentano dopo un po’ si scordano che siamo due papà. Un giorno vorrei che il libro che abbiamo scritto per loro (dal titolo Papà per scelta n.d.A.) fosse il loro libro preferito, una risposta per quando avranno delle domande a cui trovare risposte durante l’adolescenza.”

I vostri genitori come hanno preso la scelta che avete fatto?

“Quando ero piccolino cercavo approvazione dai miei genitori, ora no. Gli ho detto che quella era la mia scelta, che volevo ne fossero attori protagonisti. Gli ho dato il tempo per elaborare e per fargli capire quale fosse il modo migliore per far parte della mia vita con tutte le loro domande e i loro dubbi. Ringrazierò sempre la comunità LGBTQ+ perché mi ha permesso di essere me stesso. Grazie a chi, prima di me, ci ha messo faccia, cuore e anima per combattere per quello che ci spetta. Se ci fosse anche una sola persona che sarà se stessa e diventerà genitore grazie a noi, sarò la persona più felice del mondo.”

Un consiglio per qualcuno che ci legge e non ha il coraggio di accettare chi è.

“Essere se stessi rende il mondo un posto migliore. Nella mia vita ho capito che tutto il tempo in cui ho quasi chiesto il permesso per essere felice, era tempo che ho sprecato per fare in modo che accadesse. Mai lasciarsi influenzare dalle aspettative degli altri e non permettere mai a nessuno di decidere come, in che modo e chi amare. Non bisogna chiedere il permesso per essere se stessi e serve trovare la forza per essere felici.”

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