Siamo stati a un passo così dal decidere le intercettazioni delle chat di chi organizza i rave

La misura sarebbe stata portata in consiglio dei ministri dal titolare dell'Interno Matteo Piantedosi, ma poi c'è stata retromarcia

01/11/2022 di Gianmichele Laino

Intercettazioni telefoniche o di conversazioni che avvengono via applicazioni di messaggistica istantanea, come WhatsApp o Telegram. È all’interno di queste stesse chat che circolano, infatti, date e appuntamenti per l’organizzazione dei rave party. Nella giornata di ieri, in occasione del Consiglio dei Ministri che avrebbe dovuto varare (e alla fine ha varato) delle misure per contrastare il fenomeno, inseguendo la cronaca di quanto accaduto nell’ultima settimana a Modena, il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi aveva proposto di agire non soltanto a evento organizzato, ma anche in maniera preventiva: l’intercettazione delle chat per gli organizzatori dei rave party.

LEGGI ANCHE > Come le intercettazioni telefoniche stanno diventando (di nuovo) argomento di campagna elettorale

Intercettazioni chat per rave party: cosa stava per decidere il governo

L’idea del ministro era quella di agevolare il lavoro delle forze dell’ordine: se queste ultime conoscessero preventivamente i luoghi per il raduno dei ragazzi, allora avrebbero gioco più semplice nello smantellare l’evento che è diventato, ormai, abusivo (con pene significative, come la reclusione da 3 a 6 anni o le multe da mille a 10mila euro). Tuttavia, al momento, le intercettazioni telefoniche e quelle delle chat vengono utilizzate soltanto per ipotesi di reato di una fattispecie molto più grave. Le forze dell’ordine sono autorizzate a entrare nei dispositivi mobili dei cittadini in caso di delitti che prevedono la pena dell’ergastolo, per reati contro la pubblica amministrazione con pene non inferiori ai 5 anni, per i delitti relativi al traffico di sostanze stupefacenti o psicotrope, per il contrabbando, per le molestie. Insomma, autorizzare le intercettazioni telefoniche per l’organizzazione di un raduno sarebbe stato come equiparare la gravità del reato a questi ultimi appena elencati.

Questo ha imposto una riflessione prima e una marcia indietro poi nel consiglio dei ministri. Il retroscena di Repubblica attribuisce questa marcia indietro al vicepremier e ministro degli Esteri Antonio Tajani; quello del Corriere della Sera, invece, attribuisce la decisione alla stessa Giorgia Meloni. In entrambi i casi, la motivazione sarebbe stata quella che – a organizzare i rave party – sarebbero nella maggior parte dei casi dei ragazzini e che le intercettazioni di chat e di app di messaggistica sarebbe stata una misura eccessiva, soprattutto in rapporto alla loro età. Dunque, nella disciplina del reato contro i raduni non autorizzati non entrano (ancora) le intercettazioni telefoniche. Ma le conversazioni – anche attraverso gli strumenti digitali – continuano a essere un aspetto in cui la politica (lo si capisce anche da questi tentativi) continua a operare con troppa superficialità.

Share this article