Cos’è la global tax di cui tutti stanno parlando

Intesa raggiunta nella riunione dei ministri dell'Economia del G7 a Londra, tanto entusiasmo tra gli attori della proposta

06/06/2021 di Gianmichele Laino

Ve lo ricordate il villaggio globale che, grazie a internet e alla sua diffusione, aveva creato l’illusione di vivere – sebbene distanti migliaia di chilometri – sotto lo stesso cielo? È stato proprio in virtù di questo concetto (e delle sue degenerazioni) che, successivamente, si è passati a una visione del mondo così totalizzante e, soprattutto, così virtuale, che ha permesso a grandi giganti dell’economia – soprattutto nel settore tecnologico e digitale – di avere la meglio su altri filoni della catena produttiva. Adesso, l’aggettivo globale torna di moda, quasi a voler mettere un freno a questo concetto e a volersi concentrare, al contrario, sulle casse dei propri Paesi. Dopo l’incontro dei ministri dell’Economia del G7 a Londra, la Global Tax è un passettino più vicina.

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Global Tax condivisa dai potenti del mondo

Quello che hanno deciso i titolari dei dicasteri finanziari dei Paesi più potenti del mondo – molta soddisfazione è stata espressa anche dal ministro dell’economia italiano Daniele Franco – non è ancora un atto vincolante. Si tratta di un’intesa di massima che permetterà alle grandi multinazionali mondiali di corrispondere una tassazione del 15% all’interno dei Paesi dove fanno profitti. Una tassazione che, tra le altre cose, può salire al 20% qualora gli utili dovessero superare la soglia del 10% dei profitti. Il gettito complessivo atteso, all’interno dei Paesi del G7, dovrebbe essere quello di 50 miliardi di euro all’anno.

Chi è che dovrà pagare la global tax? Quali saranno le aziende che saranno sottoposte a questo tipo di contributo? Al momento, in base alle soglie che sono state discusse al G7 dei ministri dell’Economia, potrebbero rientrare all’interno della fattispecie che determina i criteri di pagamento della global tax circa un centinaio di aziende. E questo ci fa capire quanto la ricchezza del pianeta sia concentrata in pochissime mani. Cento aziende, tecnologia e digitale, ma non solo; si tratta di grandi marchi globalmente riconosciuti che, in questi anni, hanno spostato la propria sede legale altrove, nei cosiddetti paradisi fiscali, proprio per aggirare – ovviamente in maniera legale – le tasse dei singoli Paesi dove, invece, ottengono maggiori profitti.

La vera novità nel sistema di tassazione

E sta proprio qui la vera novità nelle premesse della global tax: le grandi multinazionali, infatti, non pagheranno le tasse in base alla propria sede fiscale, ma in base agli utili realizzati all’interno dello stato che andrà a esigere il versamento. Il 15% di base, o il 20% in alternativa se gli utili dovessero essere particolarmente elevati.

C’è da dire che questa proposta non sarà di semplice attuazione, né sarà immediata. L’orizzonte temporale per far sì che questo sistema entri nella sua fase operativa è molto ampio e potrebbero volerci anni. Il 15% di tassazione globale resta il frutto di un compromesso che – a quanto pare – non dispiace nemmeno tanto alle stesse multinazionali. Gli Stati Uniti dell’amministrazione Joe Biden – decisivi nella svolta impressa a questa tipologia di tassazione – hanno formulato questa proposta di compromesso, dopo che si era parlato, almeno all’inizio, di una aliquota del 21% per tutti i profitti e non soltanto per quelli al di là di una certa soglia.

L’accordo, comunque, è stato salutato come storico. Nei prossimi mesi, si cercherà di estenderlo anche ad altre realtà. A questo proposito, l’appuntamento del G20 in Italia sarà decisivo per individuare altri attori globali che possano sposare il principio dell’aliquota sui profitti delle multinazionali.

Foto IPP/imagostock – Londra

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