Gli anni più belli per Gabriele Muccino: «Quelli con un traguardo da raggiungere, raccontiamo una generazione di cambiamenti» | Video
30/01/2020 di Thomas Cardinali
Gabriele Muccino è tornato e con Gli anni più belli, come ogni altro suo film, è destinato a dividere. Questo sicuramente è un Muccino molto intimo, quasi autobiografico sotto certi aspetti come ci ha confessato durante la presentazione del film a Roma. Gli Anni più Belli racconta quarant’anni di vita di quattro adolescenti che diventano uomini. Racconta le loro speranze, le loro delusioni, i loro successi e i loro fallimenti specchio dell’Italia e anche degli italiani dagli anni ’80 ad oggi. I protagonisti principali sono Paolo, Giulio e Riccardo il “Sopravvisù”, interpretati da dei fantastici Kim Rossi Stuart, Pierfrancesco Favino e Claudio Santamria. Il film è un grande affresco che racconta chi siamo, da dove veniamo e anche dove andranno e chi saranno i nostri figli. È il grande cerchio della vita che si ripete con le stesse dinamiche nonostante sullo sfondo scorrano anni ed epoche differenti.
Il vero motore del film è il tempo, come sottolinea il regista Gabriele Muccino: “La grande storia è quella che ci definisce, anche se non vogliamo è questa che ci racconta. Il crollo del muro di Berlino ci ha aperto ad un mondo migliore, mani pulite al cambiamento e alla rivoluzione della classe politica. C’è sempre una idea forte di cambiamento nelle mie scelte, ad esempio l’11 settembre è il momento in cui chiudiamo l’orizzonte è sentiamo che il futuro non è così vasto. C’è poi il cambiamento del 2009 quando si pensò che la classe politica avesse sbagliato tutto e si potesse rilanciarsi. Questi slanci corrispondono a una continua sfida verso il domani, tutti pensano che sarà un giorno migliore. Sono tutti proiettati verso un traguardo e nessuno è rassegnato. Arriveranno ad accettare le conclusioni dei loro cambiamenti attraverso il tempo, che è davvero il motore di questo film. Ogni imprevisto comporta una scelta, un bivio che porterà il destino da una parte”.
Quando gli si chiede cosa voglia dire per lui il titolo del film il regista non ha dubbi: “Gli anni più belli sono quelli in cui hai ancora un traguardo da raggiungere e u. Futuro da esplorare, non hanno quindi un’età ma sono un momento interiore variabile. La mia adolescenza è stato un periodo complesso, ora vivo un periodo di esplorazione, quindi non saprei collocarli”, sottolineando poi gli omaggi al cinema del passato: “Questo film è pregno di quello che ho vissuto cercando di fare cinema, dentro c’è tutto da Zavattini a Scola, passando naturalmente per Fellini. Sono omaggi di uno che ha cresciuto e si è realizzato grazie a quel cinema. È decisamente un film sull’amicizia, il collante è l’amicizia che ha dato un impulso a queste esistenze. Ritrovano nelle cose più semplici che avevano conosciuto quando il mondo sembrava infinito davanti a loro. Si ritrovano quando tutto ciò è deragliato. Questo è un grande omaggio alla semplicità. “C’eravamo tanto amati è una ispirazione”, questo film racconta la generazione cresciuta all’ombra di quel racconto”
Quando la conversazione si sposta sulla politica raccontata ne Gli Anni più Belli Gabriele Muccino è sicuro: “La morale politica e il valore politico che i ricchi sono i cattivi e i poveri quelli solidali oggi non ha più senso. Siamo vissuti sotto il complesso di inferiorità di chi ha fatto il dopo guerra, il 68, il boom economico. Siamo stati apolitici è questa generazione corrisponde alla mia esperienza di vita. Siamo stati spaesati da tutto quel bagaglio di ideologie di sapienza e politica non metabolizzate. Quello di Scola è stato un film formativo e significativo quanto”Ladri di biciclette” per me, ma è una lunga lista. La partenza quindi è da quel film, ma le strade si sono allontanate”. Sottolinea poi quanto ci senta di suo nella storia del film: “Sento più vicino a me tutti i personaggi, li amo allo stesso modo. Però io sono un po’ tutti loro e, sono anche Micaela con la mia parte femminile. Io ho una parte contemplativa come il personaggio di Kim, ho un’anima ambiziosa e corruttibile in quello di Pierfrancesco è una paura della mediocrità e del fallimento in Claudio. La mia personalità è complessa per essere suddivisa in personaggi diversi e complementari”.
Gli Anni più Belli con un poker d’assi
Pierfrancesco Favino, che abbiamo già incontrato pochi giorni fa per la sua interpretazione di Bettino Craxi nel film di Gianni Amelio, da grande conoscitore e amante del grande cinema italiano regala una citazione proprio da “C’eravamo tanto amati” a cui il film “Gli anni più belli” deve tanto: “Abbiamo discusso a lungo con Gabriele sull’appartenere alla generazione che lui ha descritto molto bene. Nel film di Scola c’è una scena con Gassman che perde la patente e poi da lì si ritorna il tema del film. Da noi non c’è più il canto partigiano, quasi in una ideale staffetta già accennata all’epoca. Io sono d’accordo con quello che dice Gabriele, siamo la generazione silente che aspettava la propria voce e continua ad essere messa da parte dalle realtà. I vecchi ci dicono ‘abbiamo fatto parte di questo e voi non potete farci nulla’. Noi abbiamo trovato una voce laica che riesce ad avere una capacità di creazione, non credo che sia un caso l’amicizia al centro del film. Io quando ho letto la sceneggiatura ci ho visto una storia che riguarda tantissime persone. Si ritroveranno nella ricerca affannosa di una necessità di rapporti umani, che sono la parte fondamentale”.
Claudio Santamaria interpreta invece un personaggio di pancia, il più istintivo che vive la vita tutta d’un fiato pensando di essere invincibile dopo essere sopravvissuto ad un colpo di pistola: “Il mio personaggio cerca la sua identità nel movimento del cambiamento. È un personaggio smarrito e rappresenta una generazione che si è persa.’cerca la sua strada in un movimento di pancia, pensa che basti l’onestà quando in realtà non è sufficiente per essere eletti e avere una competenza politica. Cerca di esprimere la sua opinione anche nella cena finale dice che intere e ha dato possibilità, sente di non aver mai avuto modo di esprimersi e questo è rappresentativo”, lanciando poi un appello ai registi: “Gabriele è un regista fantastico, ma ci sono alcuni registi che dovrebbero recitare per capire cosa significhi davvero fare l’attore”.
Kim Rossi Stuart è forse il vero protagonista, quello travolto dagli eventi ma che cerca con grande dignità di non scivolare nel vittimismo nonostante il tradimento della donna amata per tutta la vita e del migliore amico: “Questo è un film che parla molto della visione di Gabriele, si potrebbe aprire un dibattito anche brutto. Mi sembra che il cuore del mio personaggio sia in quello che dice in modo esplicito, lui ha dei valori sociali apparentemente da perdente: si fa portare via la donna, sta con la mamma a casa, ma poi attraverso una vita scevra di vittimismo riesce a raggiungere un’esistenza piena e bella. Quando Gabriele mi ha fatto leggere la sceneggiatura l’ho amato subito, devo dire che in un periodo come questo gli eroi non sono più Batman ma vittimisti come Joker. Questo personaggio nella sua semplicità ha rimesso le cose in ordine”.
Micaela Ramazzotti è Gemma, la donna che provocherà dei grandi scossoni con la sua instabilità emotiva provocando anche delle crepe nel rapporto di amicizia quasi indistruttibile di Paolo e Giulio forse ponendo fine per un momento ai loro “Gli anni più belli”, che poi però torneranno perché la voglia del futuro non ha età: “Quando si ritrova con Paolo a Fontana di Trevi lei rimane lì e non va via. Aveva subito delle situazioni, ma le basta un sorriso per ritrovare vita. Lei è depressa dentro, diciamo che è davvero disperata che ad un certo punto ritorna dall’uomo che ha sempre amato e considera casa. Mi piace filtrare con personaggi fragili è una passione”, per poi spiegare come spesso anche lei si consideri una donna sbagliata: “Mi ci sento tanto anche io, ma amo le donne perché siamo tutte un po’ sbagliate. Le eroine non mi sono mai piaciute, sento che l’umanità è piena di imperfezione per cui più interpreto personaggi così più faccio pace con me. Diciamo che per Gemma gli anni più belli sono quelli che verranno, forse lo saranno anche per me”.
Emma Marrone alla prima volta “Ho recitato di pancia, preferirei essere mamma piuttosto che moglie”
L’attenzione era anche catalizzata su Emma Marrone, che ne Gli Anni più Belli debutta al cinema nel ruolo di attrice: “Non so ancora bene come è stato recitare, perché non avevo mai fatto niente di simile. Non avevo mai recitato neppure a scuola! Devo dire che ho accettato questa sfida che Gabriele mi ha lanciato e ho deciso di vivere questa possibilità. È stato meraviglioso perché sul set lui è comprensivo e con dei modi garbati con tutti, dal cast all’ultimo che lavora dietro le quinte. Adesso essere gentile sembra banale, ma non lo è perché vedo gente urlare per poco nella vita di tutti i giorni. Mi sentivo piccola piccola in mezzo a questi titani del cinema italiano, che però tutti i giorni mi hanno sorretta e sopportata non facendomi sentire inadeguata”, parla poi del suo personaggio e delle principali difficoltà di scene come il matrimonio e il parto: “Mi sono approcciata ad Anna di pancia, in modo ludico come quando da bambini si giocava a mamma e figli. Era l’unico modo che ho trovato, ho giocato a fare la mamma perché non lo sono. Ho usato l’immaginazione e anche la scena del parto è stata complicata non avendolo mai fatto, non so proprio come facciano le donne”.
Emma sottolinea che la cosa più difficile de Gli Anni più Belli per una persona autentica come lei è stata fingere: “Posso dire che è stato molto difficile fingermi innamorata di un uomo, non sono quel tipo di donna che si sposa. Sono una donna indipendente che non si aggrappa ad un uomo per emergere. Ho preferito portare la pancia, meglio essere mamma piuttosto che moglie”. Poi apre ad un futuro come attrice: “Non mi sono mai creata dei paletti nella vita, lo rifarò quando qualcun altro mi offrirà una situazione che avrà senso con quello che sono. Non c’è nulla di male nell’afferrare le possibilità”, con Gabriele Muccino che sottolinea “Ho scelto Emma perché ha talento, l’ho cercata e voluta”, mentre Claudio Santamaria invita a non alimentare polemiche inutili: “Solo in Italia un artista che cambia disciplina deve giustificarsi, Emma è un’artista perché non può recitare? Parlo in generale, è giusto sostenere questi artisti che hanno talento”.
Claudio Baglioni e quel lieto fine con lo zampino di Favino
Gabriele Muccino poi parla del cambio di nome da “I Migliori Anni” a “Gli anni più belli”, anche grazie ad un regalo di uno degli artisti più amati della musica italiana: “Ho chiesto a Claudio Baglioni di usare due canzoni che potete ascoltare nel film, ma lui mi propose anche questo inedito e mi piacque moltissimo. Abbiamo deciso di farne la canzone principale del film, dato che “I migliori anni era già esistente” le abbiamo scelto un titolo che piacesse a tutti e due. Quando ha visto il film ha adattato un po’ il testo realizzando una canzone che sembra venire dagli anni ’80 ma con un’anima molto moderna. Baglioni è estremamente evocativo ed è stato vittima della diffidenza verso il pop, ma è il cantautore più amato e ascoltato negli ultimi 50 anni in Italia”. Sul primo vero lieto fine dei suoi film Gabriele Muccino svela che a sorpresa il merito è tutto di Pierfrancesco Favino: “Altri miei film non hanno il lieto fine. Questo è sicuramente quello più pacificatore che abbia mai fatto Ti dice che la vita va avanti. Devo pero dare molto credito a Pierfrancesco Favino e alle nostre diatribe interne, perché questo finale così rassicurante e commovente viene da lui. Io voglio far vedere che la vita non ti premia, lui mi ha spinto verso una strada più felice e giusta rispetto all’arco. Forse per questo siamo in un momento storico in cui vogliamo davvero farci dire che il domani sarà migliore”.
Gli Anni più Belli di Gabriele Muccino sarà al cinema con 01 Distribution dal 13 febbraio con 500 copie, mentre il cast sarà al Festival di Sanremo durante la prima serata del 4 febbraio al gran completo.