Civati: «Ci riempiamo la bocca dell’orgoglio italiano, ma non ci preoccupiamo di Silvia Romano»

Sono passati 365 tweet da quando Silvia Romano è stata rapita a Chakama, in Kenya. Abbiamo scelto questa unità di misura per spiegare come Giuseppe Civati, unico politico a ricordare quotidianamente la volontaria italiana, abbia dato il suo contributo affinché la storia della ragazza di 24 anni non finisse nel dimenticatoio come successo a tanti nostri connazionali scomparsi all’estero. Oggi, a un anno di distanza, le parole di Civati risuonano come un monito misto a speranza.

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Civati e il ricordo di Silvia Romano, dopo 365 tweet

«I tweet sono stati un gesto simbolico – racconta ai microfoni di Giornalettismo -, ma in fondo hanno fatto in modo che un’intera comunità ripetesse lo stesso gesto, tenendo alta l’attenzione sul tema. Il mondo dei social network è sempre complesso. All’inizio c’erano gli insulti, adesso la maggior parte degli interventi che riguardano Silvia Romano è rappresentata da messaggi di solidarietà».

La ferocia del web non guarda in faccia alle tastiere. A volte un insulto si libera leggero, come se non avesse un peso. E invece le parole sono macigni: «Io mi ricordo come si parlò di Silvia Romano all’inizio della vicenda – sottolinea Civati -, ricordo un editoriale di Gramellini e la retorica del ‘ma chi gliel’ha fatta fare’. Adesso, però, Silvia Romano rappresenta un modello: speriamo tutti che la sua vicenda vada a buon fine. È un augurio e un messaggio di speranza».

La richiesta di Giuseppe Civati alle autorità italiane su Silvia Romano

Durante la prigionia di Silvia Romano è cambiato il governo. Quello che non è cambiata, però, è la strategia utilizzata nell’affrontare la questione: «Conosciamo tutti la posizione del governo precedente, non soltanto sul caso di Silvia Romano, ma in generale sul tema della solidarietà internazionale. Adesso, in questo nuovo scenario politico ci si aspetta che l’esecutivo lanci un segnale. Non mi riferisco ai pettegolezzi, alle insinuazioni, ai retroscena: vogliamo un’informativa su quelli che sono i fatti. Le cose che si conoscono esattamente, la chiarezza. In modo tale da evitare anche spiacevoli cortocircuiti informativi».

La situazione, del resto, è in continua evoluzione. Le ultime indicazioni ufficiali collocano Silvia Romano in Somalia. Un tassello in più che complica il quadro complessivo, per la quantità di attori internazionali coinvolti, per le difficoltà presenti all’interno di quello Stato: «Rappresenta comunque un passo in avanti per le nostre autorità – ricorda Civati -: ora si conoscono chi sono gli interlocutori e la diplomazia italiana starà senz’altro facendo il suo lavoro».

Occorre, tuttavia, definire l’area all’interno della quale Silvia Romano è stata condotta: «Nino Sergi (fondatore e presidente emerito di Intersos, ndr) ha spiegato che in alcune zone della Somalia, alcune indicate come potenziale territorio in cui è stata condotta la ragazza, sono interessate da frequenti raid. La cosa complicherebbe ulteriormente quanto sta accadendo, ma è importante che le nostre autorità sappiano con esattezza dove sia Silvia Romano».

Infine, l’appello affinché nessuno si dimentichi di questa storia, almeno fino a quando Silvia Romano non tornerà in Italia: «Difendo a spada tratta la riservatezza che circonda la famiglia di Silvia Romano – conclude Civati -. Spero che i vertici delle istituzioni riescano a portare avanti la speranza. Spesso si usa l’espressione, che condivido poco, di ‘orgoglio italiano’. Ma come possiamo difendere questo ‘orgoglio’ se non prestiamo attenzione alle vicende di una nostra concittadina senza libertà in un’altra parte del pianeta?».

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