Il giornalismo, il debunking e la storia della recensione sulla pizzeria “Le Vignole”
La morte della titolare, Giovanna Pedretti, all'indomani della pubblicazione di quella recensione su tutte le testate e del fact-checking sulla stessa deve necessariamente aprire un fronte di riflessione su informazione e social
15/01/2024 di Enzo Boldi
La storia di Giovanna Pedretti – dalla vicenda della condivisione su Facebook di una recensione negativa che ha tutte le caratteristiche per essere etichettata come falsa fino, passando per la vasta eco mediatica (senza alcuna verifica sulla veridicità), arrivando al lavoro di debunking, fino alla morte della ristoratrice di Sant’Angelo Lodigiano – deve necessariamente portare il giornalismo a un’analisi profonda delle sue colpe e delle sue responsabilità. Una notizia che non doveva essere una notizia. Una vicenda che doveva essere supportata da un lavoro di analisi ancor prima di farla diventare “virale”, ma diventata tale (e vera per molti giornali) per via della sua viralità sui social. In questa storia ogni singolo soggetto chiamato in causa ha delle responsabilità. Palesi.
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Non approfondiremo i dettagli dell’epilogo di questa vicenda. Attenderemo che l’inchiesta aperta questa mattina dalla Procura di Lodi faccia il suo corso. Giornalettismo, però, nella giornata di oggi andrà ad analizzare questa storia dal punto di vista massmediologico e sociologico. Partendo proprio dalla storia iniziata la mattina di giovedì 11 gennaio, quando sulla pagina Facebook della pizzeria “Le Vignole” di Sant’Angelo Lodigiano era stato pubblicato questo post corredato da uno screenshot.
Una recensione che, stando allo screenshot, era stata pubblicata su Google 18 ore prima. Una stella (giudizio pesantissimo per un’attività commerciale), con riferimenti all’omofobia e all’abilismo. Un post diventato virale nel giro di poche ore, con una vasta eco mediatica “provocata” dalla pubblicazione di articoli su questa vicenda su tutti (ma proprio tutti) i principali quotidiani italiani (cartacei e online). Qualcosa, però, non tornava.
Giovanna Pedretti, il giornalismo e il debunking
Il food blogger Lorenzo Biagiarelli aveva messo in evidenza alcune problematiche “grafiche” (e non solo). Per esempio, la font “utilizzata” nella risposta era differente. Non solo rispetto alla recensione “originale”, ma anche rispetto a quella standard fornita da Google per le repliche sulla sua piattaforma. Inoltre, altro aspetto non secondario, i toni utilizzati (sia nella recensione, sia nella risposta) riportavano alla mente altre storie analoghe (confermate e vere) che avevano ottenuto la stessa viralità sui social e attenzione mediatica da parte degli organi di informazione. Fino ad arrivare a quella recensione “sparita” da Google e il tentativo di giustificazione della titolare.
Riassunto: locale pubblica lo screenshot di una recensione omofoba e abilista con la risposta della titolare che invita l’avventore a non tornare più. Pieno di like, articoli su tutti i giornali. Io sollevo il dubbio che quello screen fosse un fake. Nelle foto, il seguito. pic.twitter.com/OCJhVf4bBQ
— Lorenzo Biagiarelli (@lorenzobiagiare) January 13, 2024
Dunque, qualcosa non tornava. La donna, Giovanna Pedretti, era stata raggiunta all’esterno del suo locale, dal giornalista del TG3 Jari Pilati, con quest’ultimo che le aveva mostrato quegli stessi dubbi che stavano sorgendo attorno a questa vicenda, con il servizio andato in onda sabato 13 gennaio 2024, durante l’edizione del telegiornale delle ore 19.
#GiovannaPedretti
Comunque la si pensi, qualunque errore sia stato fatto da una parte o dall’altra, vedere le ultime immagini di questa donna è drammatico.
E pone domande profonde su dove stiamo andando e con quanta fragilità lo stiamo facendo. pic.twitter.com/GuXrlvrbKz— Emi Bell (@_EBelloni) January 14, 2024
Da quel momento, gli stessi giornali che avevano pubblicato l’ennesima storia (simile a tante altre) di una recensione di stampo omofobo (e non solo) e la risposta del titolare di un locale, hanno iniziato a fare un passo indietro, pubblicando articoli in cui si metteva in dubbio la veridicità di questa vicenda.
Il capo di cenere
Fino a domenica sera, quando tutta questa vicenda nata da una notizia che non doveva essere una notizia (sarebbe bastato un occhio attento e la volontà di non partecipare all’ennesima corsa a raccontare una storia virale sui social) è arrivata a un tragico epilogo. La morte, per cause ancora da accertare (anche in questo caso si sta speculando fornendo versioni, anche se l’indagine della Procura di Lodi è stata appena aperta), di Giovanna Pedretti. L’errore nell’errore, che porta ad altri errori. Questa storia è l’emblema della deriva dell’informazione in Italia (ma anche altrove non stanno messi meglio), che ormai insegue storie all velocità della luce e le pubblica senza alcuna verifica.
E nelle ultime ore, social e politica (anche un partito come la Lega che quando si parla di “gogna mediatica” dovrebbe mantenere un profilo basso, viste le sue strategie comunicative che si sono forgiate proprio attorno a questo comportamento a dir poco sgradevole) si stanno scagliando contro l’attività di debunking. Il fact-checking che esiste solamente perché esistono notizie false. Che esiste solamente perché chi dovrebbe seguire delle regole deontologiche della professione, non le segue. Ovviamente c’è anche una questione di linguaggio. Sul come queste questioni debbano essere trattate. Anche relativamente al reale peso sulla società che notizie (vere o false) come queste possano avere. Ma da questa vicende non esce neanche un vincitore.
(foto di copertina: da Google Maps)