Se il Garante per la privacy è costretto a multare il Ministero dell’Interno per alcuni video online

Due sanzioni al Viminale per un totale di 110mila euro. Colpa di alcune immagini diffuse da due Questure (date alla stampa o pubblicate sui social) che hanno violato le regole del GDPR e della CEDU

15/05/2022 di Enzo Boldi

Per far rispettare la legge, occorre conoscere la legge. Non solo determinate fattispecie di reato, ma tutti i contorni (anche narrativi) che accompagno la pubblicazione da fonti ufficiali (come in questo caso) di testimonianze video che si allegano a una notizia. Questa volta non parliamo di un comportamento scorretto da parte dei media, ma di quello di due Questure italiane. Due episodi differenti, ma con la stessa trama e lo stesso epilogo. E per questi fatti è dovuto scendere in campo anche il Garante per la privacy che multa il Viminale.

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Sì, sembra un paradosso: l’Autorità garante per la protezione dei dati personali costretta a intervenire, con sanzione pecuniaria e reprimenda, nei confronti di uno dei principali Ministeri della Repubblica italiana. Ovviamente chi è a capo del dicastero dell’Interno non ha responsabilità (e i fatti fanno riferimento ad anni diversi con Ministri diversi), ma è l’esatto simbolo di un atteggiamento approssimativo quando anche le Questure scendono sul tavolo dei social utilizzando quei linguaggi comunicativi (in questo caso per immagini) per raccontare il loro lavoro.

Garante Privacy multa Viminale per 110mila euro

Il primo caso risale a diversi anni fa (era il 2015) e ha portato, nelle scorse settimane, il Garante per la protezione dei dati personali a emettere una prima sanzione da 60mila euro nei confronti del Ministero dell’Interno. Per ben cinque anni, infatti, sul profilo social di una Questura – per motivi di privacy, non a caso, non è stato pubblicato il nome della città – è rimasto visibile un video (con tanto di logo della Polizia di Stato, che dipende dal Viminale) di un’operazione che aveva portato all’arresto di otto persone.

Nella prima parte del filmato (poi distribuito anche alle testate) si mostravano i nomi e i volti in primo piano dei fermati, mentre nella parte finale si vedevano le immagini di questi uomini (questa volta a volto coperto) che venivano portati via in manette. E quel filmato è rimasto online, sul canale social ufficiale di quella Questura, per cinque anni. Solo il primo intervento del Garante Privacy ha portato alla cancellazione. Quel video, dunque, conteneva molte violazioni sia delle norme nazionali che di quelle europee basate sulle linee guida della CEDU (Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo). In particolare, questo comportamento ha portato alla violazione dell’articolo 8, quello che si occupa del “Diritto al rispetto della vita privata e familiare” e che recita (nei suoi due commi) così:

  1. Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza.
  2. Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui.

Il Garante privacy multa Viminale proprio perché la diffusione di quelle immagini, con il logo della Polizia di Stato a certificarne la paternità (come poi confermato nel corso dell’istruttoria) sono equiparabili alle foto segnaletiche che, secondo l’ordinamento nostrano e continentale, possono essere diffuse solamente per fini di giustizia e interesse pubblico. Evidentemente, il caso di quegli otto arresti non configurava nessuna delle due fattispecie.

La sovraesposizione oltre la legge

Il Garante, dunque, ha ritenuto eccessivo lo zelo della Questura nella pubblicazione e diffusione di immagini riguardanti questi arresti. Una condivisione che lede i diritti dell’uomo, in questo caso del soggetto che finisce in stato di arresto. E anche nel secondo caso citato in una seconda istruttoria che ha condannato il Viminale a un’altra sanzione (questa volta da 50mila euro), rientra in questa stessa cornice. Anche in questa occasione, infatti, una Questura (non definita, come nel caso precedente) ha inviato agli organi di stampa generalità e immagini in primo piano di un uomo che era già in carcere e contro di cui era stato emesso un nuovo provvedimento restrittivo. Un comportamento sbagliato da parte degli uffici che sono strettamente dipendenti dal Ministero dell’Interno che ha portato a una multa da 50mila euro. In totale, dunque, il Garante ha condannato il Viminale al pagamento di sanzioni per 110mila euro per aver diffuso immagini “eccessive e lesive” in un caso anche sui social, nell’altro alla stampa. Con tanto di logo a marchiare il copyright.

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