Fedez ha dimostrato una volta per tutte che la tv, di fronte agli influencer, non può più competere

Ci sono una serie di ragioni: tecniche e di contenuto, esaminiamole

02/05/2021 di Gianmichele Laino

Uno dei commenti più pertinenti di questo day after rispetto al discorso di Fedez al Primo Maggio, alle polemiche che ne sono seguite, al balletto dei comunicati stampa e – soprattutto – delle smentite, è stato quello di Luca Bizzarri che, non a caso, vive a cavallo di due mondi – quello della tv generalista e quello del social influencing – e che questi due mondi comprende alla perfezione: «Ieri si è ribadito – ha scritto su Twitter – che la comunicazione è cambiata: la tv generalista è sempre più piccola e irrilevante in confronto al web. Nello scontro tra due poteri, il più forte ha vinto». Abbiamo assistito a un confronto Fedez contro tv, che è un po’ l’opporsi del mondo vecchio e del mondo nuovo (quelli che Antonio Gramsci, non a caso, metteva in contrasto in una delle sue frasi più celebri), proprio nella confusa zona grigia che c’è nel passaggio dall’uno all’altro. Anche se, dopo ieri, l’altro è di gran lunga più vicino.

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Fedez contro tv, perché gli influencer vinceranno sempre

Fedez ha dimostrato che, in un confronto tra influencer e televisione, i primi avranno sempre la meglio. E che, nonostante i tentativi della seconda di mettere un argine, la televisione sarà sempre un passo indietro per codici, modalità di comunicazione e contenuti. Forse la stessa cosa vale anche per la politica, ma questo è un discorso più ampio ancora.

Ripercorriamo brevemente le tappe di quanto accaduto ieri. Il concertone del Primo Maggio stava andando avanti. Qualcuno aveva iniziato a sussurrare di una possibile bomba che Fedez stava per sganciare sull’evento. La politica direttamente interessata ha provato ad anticipare i tempi, mettendo in gioco i suoi pezzi da novanta, come gli account social di Matteo Salvini che – senza fare riferimenti espliciti – hanno iniziato ad attaccare la manifestazione del Primo Maggio partendo dai soliti canoni: evento pubblico, pagato con i soldi degli italiani, che non può essere strumentalizzato dalla politica. Frasi che, in passato, nessuno avrebbe osato nemmeno immaginare, ma che nella retorica populista, che fino a un anno e mezzo fa ha dominato la scena, trovano il loro humus perfetto.

Fedez, a quel punto, ha risposto. Lo ha fatto con tre stories davanti a un pubblico virtuale di 12 milioni e passa di followers. Che da soli valgono molto di più dei punti di share di un singolo programma della Rai e hanno – in più – il vantaggio di potersi replicare con effetto onda, andando a coinvolgere le fanbase di altri influencer o, semplicemente, di altre persone comuni. Basterebbe questo stesso meccanismo a far comprendere da chi arriverà il messaggio dominante. Un programma della Rai, in diretta, viene trasmesso in un lasso di tempo ben preciso; una stories di un influencer può essere vista, a ciclo continuo, per 24 ore.

Poi, è stata la volta di Raitre, con un comunicato stampa (non sapete, oggi, quanto sia anacronistica questa parola!) che ha provato a smentire la ricostruzione di Fedez, facendo addirittura la voce grossa («è ingiusto parlare di censura» o qualcosa del genere: tipo, voi vi ricordate tutti le parole di Fedez, ma chi se le ricorda più quelle del “comunicato stampa”?). Qui l’influencer ha messo in campo l’altro strumento a sua disposizione: la vita in diretta. Una sua telefonata viene documentata in video, esattamente come si fa – su Instagram – con una cena al ristorante, una sessione di fitness, una cucinata in famiglia, un gioco con i propri figli. Del resto, per antonomasia, cosa fa un influencer? Vive in diretta, mostra al pubblico quello che sta facendo minuto per minuto. Come si può competere con una persona che fa della sua vita in vetrina il suo principale core business? Possibile che i vertici della Rai – compresa la vicedirettrice Ilaria Capitani – non lo avessero capito al momento della telefonata?

I contenuti di Fedez contro quelli della tv generalista del Primo Maggio

Fin qui i mezzi, ora passiamo ai contenuti. Un programma televisivo, un evento pubblico, che ha le sue regole, i suoi codici, i suoi paletti, non può mai essere definito completamente libero di fronte alla scelta, totalmente personale, di un influencer di dar voce a ogni suo pensiero, «secondo la sua diretta responsabilità» (avete notato che Fedez, nel corso della giornata di ieri, lo ha ribadito più volte?). Nelle proprie stories, l’utente dei social con grande seguito può dire quello che vuole. In un programma della tv generalista, invece, deve rispettare una scaletta, deve confrontarsi con degli autori che, a loro volta, lo inseriscono più o meno avanti nel palinsesto della serata. Questa, quantomeno, è la percezione del pubblico (chi legge Giornalettismo, invece, sa bene quanto i grandi big del tech e dei social network sappiano essere invasivi nelle loro scelte di mercato). Ieri, il delitto perfetto è stato consumato.

Ecco perché serve una nuova riflessione sui codici della comunicazione, ecco perché serve una consapevolezza – al di là dei singoli episodi – su cosa sia o cosa non sia libero sui social network, ecco perché serve un nuovo modo per affrontare gli argomenti che – si diceva un tempo – dettavano l’agenda setting. E che, ora, non possono far altro che inseguire, in affanno.

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