Luigi Di Maio sul mancato accordo FCA-Renault: «La Francia ha fatto una brutta figura. Noi no»

07/06/2019 di Enzo Boldi

Noi bravi, voi cattivi. Noi onesti, voi disonesti. Noi innocenti, voi colpevoli. Luigi Di Maio ha messo in lavatrice le vesti del governo per sbiancarle e togliere tutte le macchie, per poi stenderle ed esporle al sole. Il leader del Movimento 5 Stelle, intervenendo ai microfoni di Radio24, ha dichiarato che sulla questione FCA-Renault il governo italiano sia stato esemplare ed esente da colpe per il fallimento della trattativa di fusione. La colpa, dunque, è tutta della Francia che si è intromessa tra le due aziende.

«La Francia non ha fatto bella figura – ha detto il ministro dello Sviluppo Economico a Radio24 -. Noi, anche se in contatto con FCA, abbiamo rispettato un’operazione di mercato. Neanche Renault è contenta dell’interventismo dello Stato francese. Se si fa mercato, una grande azienda parla con la sua omologa, non è che interferiscono ministri e presidenti della Repubblica». La difesa delle aziende italiane dunque, vale solo per le aziende italiane. Un governo che dice la sua su una maxi-operazione miliardaria che riguarda una delle sue principali imprese, secondo il leader del Movimento 5 Stelle, sbaglia.

Dal mancato accordo FCA-Renault al futuro del governo

Il leader pentastellato, oltre alla mancata fusione FCA-Renault, ha anche parlato dei problemi interni al governo e delle prospettive per il futuro. Proseguendo la linea di pace iniziata giovedì pomeriggio dopo l’incontro a due con Matteo Salvini, Luigi Di Maio ha detto che il governo andrà avanti «per combattere e portare avanti gli obiettivi che ci siamo dati e non per vivacchiare o tirare a campare». Poi, però, si arriva anche a parlare delle indagini sul viceministro leghista all’Economia Massimo Garavaglia.

Garavaglia, se non innocente si dimetta

«Prima di tutto auguro a Garavaglia di essere innocente – ha commentato Luigi Di Maio -. Se così non dovesse essere, auspico che accada quanto è già successo con Edoardo Rixi, cioè un passo indietro del diretto interessato». Una linea più morbida rispetto alle battaglie pentastellate nei confronti di Armando Siri, costretto a dimettersi perché indagato e non perché condannato. La pace porta a vedute meno stringenti.

(foto di copertina: ANSA/ETTORE FERRARI)

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