Le leggi sull’equo compenso che riguardano il mondo del cinema

Dal d. lgs 35/2017 alla direttiva Europea sul Copyright recepita dall'Italia nel 2021, ma con un grande vulnus operativo

27/03/2023 di Enzo Boldi

Ci sono leggi scritte, approvate e operative. Ma che, secondo quanto denunciato dalla società Artisti 7607, non vengono rispettati per quel che riguarda l’equo compenso relativo al mondo del Cinema. Per questo motivo, la stessa società presieduta da Cinzia Mascoli, ha deciso di muovere una azione legale nei confronti di Netflix (ma il discorso è molto più ampio e relativo anche alle altre piattaforme OTT) perché – secondo l’accusa – queste piattaforme non indicano i dati per definire l’esatta entità del compenso adeguato e proporzionato. Ovvero quello basato sul numero esatto di “telespettatori” che hanno assistito (attraverso il web, le app o le smart TV) a un film trasmesso fuori dal cinema o dalla televisione.

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La battaglia condotta da Artisti 7607 va avanti da anni, senza che ci si sia mai avvicinati a una soluzione equa con i giganti della distribuzione (e, ormai, anche della produzione) di contenuti cinematografici online. Non è un caso che, nelle loro comunicazioni si faccia spesso riferimento a questo mancato accordo: «Oggi più che mai Artisti 7607 è determinata a far valere in ogni sede le ragioni e le richieste degli interpreti. Nelle negoziazioni in corso con grandi utilizzatori come Disney, Google, Amazon, Netflix vogliamo ottenere compensi per i nostri artisti che non siano ridicoli ma finalmente dignitosi e proporzionati ai ricavi generati dall’enorme e crescente sfruttamento di opere audiovisive».

Equo compenso cinema, il decreto legislativo 35/2017

Un compenso adeguato e proporzionato previsto dalla legge italiana che nel corso degli anni ha recepito due direttive europee. Secondo quanto spiegato dal Artisti 7607, per obbligare le piattaforme OTT a indicare i “dati del successo” di una pellicola trasmessa da loro (quindi i ricavi) potrebbe addirittura bastare il decreto legislativo 35/2007 (sulla base della Dir. 2014/26/UE). In particolare, il comma 4 dell’articolo 22 (quello che si occupa della concessione delle licenze) della suddetta normativa recita:

«Le tariffe relative a diritti esclusivi e a diritti al compenso devono garantire ai titolari dei diritti una adeguata remunerazione ed essere ragionevoli e proporzionate in rapporto, tra l’altro, al valore economico dell’utilizzo dei diritti negoziati, tenendo conto della natura e della portata dell’uso delle opere e di altri materiali protetti, nonché del valore economico del servizio fornito dall’organismo di gestione collettiva. Quest’ultimo informa gli utilizzatori interessati in merito ai criteri utilizzati per stabilire tali tariffe».

Di fatto, dunque, si parla della “natura e della portata dell’uso delle opere e di altri materiali protetti, nonché del valore economico del servizio fornito dall’organismo di gestione collettiva”. Questo aspetto dovrebbe già imporre ai grandi operatori delle piattaforme OTT (per questo il caso non riguarda solamente Netflix, ma anche Amazon, Disney e le altre) la comunicazione di dati reali e ben definiti per consentire agli attori di avere contezza del quantitativo di pubblico che ha visto un determinato film e, dunque, ricevere il compenso adeguato e proporzionato.

La direttiva UE sul Copyright recepita dall’Italia

All’interno della legge del 2017, però, manca un aspetto che diventa fondamentale nella gestione dell’equo compenso Cinema: vengono definiti gli obblighi sui dati che le piattaforme devono comunicare, ma non c’è traccia delle sanzioni. Ma a supporto della richiesta di Artisti 7607 c’è anche la Direttiva Europea 2019/790 (recepita dall’Italia attraverso il d.lgs 177/2021), quella sul diritto d’autore e sui diritti connessi nel mercato unico digitale. L’articolo 18 (quello sul “Principio di una remunerazione adeguata e proporzionata”) recita:

  1. Gli Stati membri provvedono a che gli autori e gli artisti (interpreti o esecutori), se concedono in licenza o trasferiscono i loro diritti esclusivi per lo sfruttamento delle loro opere o altri materiali, abbiano il diritto di ricevere una remunerazione adeguata e proporzionata.
  2. Nel recepire il principio stabilito al paragrafo 1 nel diritto interno, gli Stati membri sono liberi di utilizzare meccanismi di vario tipo e tengono conto del principio della libertà contrattuale e di un giusto equilibrio tra diritti e interessi.

A questi due commi si aggiungono i princìpi di trasparenza inseriti all’interno dei primi due commi dell’articolo 19 della suddetta direttiva UE:

  1. Gli Stati membri provvedono a che gli autori e gli artisti (interpreti o esecutori) ricevano, almeno una volta all’anno e tenendo conto delle specificità di ciascun settore, informazioni aggiornate, pertinenti e complete sullo sfruttamento delle loro opere ed esecuzioni da parte di coloro ai quali hanno concesso in licenza o trasferito i diritti oppure da parte degli aventi causa, in particolare per quanto riguarda le modalità di sfruttamento, tutti i proventi generati e la remunerazione dovuta.
  2. Gli Stati membri provvedono affinché, qualora i diritti di cui al paragrafo 1 siano stati successivamente concessi in licenza, gli autori e gli artisti (interpreti o esecutori) o i loro rappresentanti ricevano, su loro richiesta, informazioni supplementari da parte dei sublicenziatari qualora la loro prima controparte contrattuale non detenga tutte le informazioni necessarie ai fini del paragrafo 1.

Dunque, i paletti normativi affinché sussista l’obbligo da parte delle piattaforme di streaming di comunicare i dati necessari alla definizione di un compenso adeguato e proporzionato esistono e sono vigenti. Grandi OTT come Netflix (e non solo) devono, dunque, fornire ad associazioni come il collecting Artisti 7607 quei numeri in modo da arrivare a un accordo per un equo compenso legato al mondo del Cinema.

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