Siamo di fronte al fenomeno di enshittification di ChatGPT?

Partendo dalla definizione di enshittification, ecco una possibile interpretazione di quello che sta accadendo a ChatGPT

26/07/2023 di Ilaria Roncone

Enshittification: un termine tecnico, di recente invenzione, che molte persone possono non aver mai letto o sentito prima di leggere questo articolo. Nome curioso, per chiunque parli inglese e individui la parola al centro di questa espressione. Cosa vuol dire enshittification? Partiamo dall’etimologia del termina: en- è un prefisso che intensifica e che si va ad aggiungere alla parola shittification che – al di là dell’evidente traduzione volgare in italiano – fa riferimento al degradamento di qualcosa. Questo qualcosa, nel caso specifico, sono le piattaforme online.

Volendo dare una definizione al termine enshittification, quindi, possiamo parlare del fenomeno che vede le piattaforme peggiorare gradualmente i loro servizi promuovendo – in concomitanza – pubblicità e contenuto sponsorizzati, così da aumentare i loro profitti.

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Cos’è e come funziona l’enshittification?

Che cos’è la enshittfocation nel mondo online lo dobbiamo capire attraverso le parole di Cory Doctorow, colui che questo termine lo ha coniato: «Prima si tratta di cose buone per i loro utenti; poi abusano di loro per migliorare le cose per i loro clienti commerciali; infine, abusano di questi clienti commerciali per recuperare tutto il valore per loro stessi».

Questa definizione assume un senso, come riporta un articolo di John Naughton sul Guardian, facendo alcuni esempi pratici. Partiamo con Google: prima, quando è nato, forniva una serie di risultati in basi alle chiavi di ricerca che costituivano – come meccanismo e funzionamento – un enorme conquista rispetto a quello che c’era prima, basandosi su una sorta di peer-review automatica chiamata Page Rank. Oggi su Google – e lo stesso discorso vale anche per Amazon – la prima pagina delle ricerche è piena zeppa non di ciò che è meglio ma di ciò ciò che è adv.

Stesso discorso per i social network: prima Facebook e Twitter ci mostravano quello che dicevano e facevano gli amici e le persone che ci interessavano, ora gli algoritmi ci propongono quotidianamente tutta una serie di contenuti che aumentino il nostro coinvolgimento. Instagram e TikTok, ancora di più, funzionano in modo tale da invogliare l’utente a scorrere all’infinito. E di questo, noi tutti, spesso non siamo minimamente consapevoli.

E l’enshittification di ChatGPT?

Rispetto a ciò che sta accadendo a ChatGPT – l’effettiva regressione nel comportamento e nelle risposte date dal chatbot che è stata al centro dello studio delle Università di Stanford e Berkeley – si potrebbe chiamare in causa la questione dell’enshittification che, come dimostrato, è un circolo che interessa tutte le piattaforme online. Tra le varie ipotesi che circolano sulla questione – non confermata dal vicepresidente di OpenAI, che ha minimizzato la questione – c’è quella, citata anche da Repubblica, che quanto sta accadendo sia tutto programmato.

In questa ottica l’obsolescenza programmata di ChatGPT avrebbe un senso, quello di aver testato un prodotto mai realmente pensato per finire sul mercato ma sottoposto agli utenti per poi essere sfruttato in prodotti a pagamento (si vedano quelli annunciati da Microsoft, che finanzia OpenAI, per i clienti premium del pacchetto Office). Così come prevede l’enshittification, gli utenti sarebbe stati dotati gratuitamente di un sistema allo scopo di attirarli e di testarlo per poi farlo fruttare in diversa maniera.

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