«I social ci fanno perdere il contatto col tempo, sprechiamo risorse per risolvere problemi pratici»

L'intervista ad Anna Lembke, capo della Stanford Addiction Medicine Dual Diagnosis Clinic presso la Stanford University

05/12/2020 di Gianmichele Laino

Nel documentario di Netflix The Social Dilemmala dottoressa Anna Lembke, capo della Stanford Addiction Medicine Dual Diagnosis Clinic presso la Stanford University, ha messo i suoi due figli davanti alle telecamere e ha fatto dire loro quanto tempo pensavano di aver trascorso – in una giornata – sui social network. Il confronto tra la loro testimonianza e il contatore del tempo di utilizzo sul loro smartphone è stato impietoso: i ragazzi credevano di aver trascorso molto meno tempo al cellulare di quello che, effettivamente, avevano sprecato.

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Dipendenza da social, l’intervista ad Anna Lembke

In questo viaggio nell’etica del web, non potevamo non esaminare anche il punto di vista di un’esperta internazionale su quanto i social network generino dipendenza. Anna Lembke, una delle protagoniste di The Social Dilemma, si è volentieri messa a disposizione, per fare il punto sullo stato degli studi che vanno in questa direzione. Il prossimo anno uscirà un suo libro intitolato Dopamine Nation: Finding Balance in the Age of Indulgence (Dutton Penguin RandomHouse 2021), con il quale spera di proporre delle soluzioni concrete per affrontare questo problema.

«Consentendo ai miei figli di partecipare al documentario – spiega a Giornalettismo -, volevo trasmettere che questo è un problema con cui tutti i genitori stanno lottando, che tu sia un professore universitario, un camionista o un insegnante di scuola. Ci stiamo impegnando insieme, cercando di capire come navigare nel territorio inesplorato di bambini, dispositivi e Internet».

Perché, effettivamente, i social network creano dipendenza. Nonostante le smentite ufficiali di Facebook e la pubblicazione di una pagina intera sul New York Times per spiegare come la piattaforma intenderà affrontare il problema, gli studi che sono stati fin qui condotti mostrano un quadro decisamente preoccupante: «Sin dal 1997, da quando cioè è stato coniato il termine social media sono stati pubblicati degli studi sull’impatto di questi ultimi sul comportamento umano – ci spiega la dottoressa Lembke -. Studi di imaging del cervello umano mostrano che i percorsi di compensazione nel cervello sono attivati ​​dal contatto sociale e dall’approvazione: quando qualcuno ti capisce, è d’accordo con te, questa cosa ti fa piacere. Che i social media possano creare dipendenza è qualcosa che è venuto alla luce solo negli ultimi 10-15 anni, con resoconti aneddotici e clinici di persone impegnate in un uso eccessivo compulsivo dei social media, con conseguenti danni a se stessi e / o agli altri. La “dipendenza dai social media” come diagnosi clinica non è stata ancora adottata dal manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali o dall’Organizzazione mondiale della sanità, sebbene la dipendenza dal gioco e il “disturbo da gioco” (solo dall’OMS), invece, siano state adottate».

La dipendenza dai social network non è diversa da altre dipendenze. Quella dal gioco, ad esempio, il disturbo o la dipendenza da giochi su Internet, la dipendenza da sesso o pornografia, la dipendenza dagli acquisti, ecc. Questo tipo di dipendenze – definite “di processo” – non è poi così diverso da quelle da droga o alcol, ci ha spiegato Anna Lembke: «Studi scientifici hanno dimostrato che le persone che trascorrono molte ore al giorno sui social media hanno maggiori probabilità di avere a che fare con depressione, ansia, panico, pensieri suicidi, ecc. Questi studi sono stati citati per sostenere che i social media e altre attività online sono dannose. L’appello arriva in particolare ai giovani, per mobilitare una vera e propria call-to-action».

dipendenza dai social
Anna Lembke, capo della Stanford Addiction Medicine Dual Diagnosis Clinic presso la Stanford University

 

La dipendenza da social ci toglie il tempo per concepire soluzioni pratiche per la vita vera

Il problema, il vero problema, è che con la dipendenza da social network rischiamo di perdere il contatto con il trascorrere del tempo. Noi ci mettiamo in pausa, il mondo fuori continua ad andare avanti: «Tendiamo a perdere la cognizione del tempo quando consumiamo droghe che creano dipendenza – spiega Anna Lembke -. Questo fa parte di ciò che dà forza alle droghe. Ci permettono di fonderci con l’infinito e dimenticare il tempo, almeno per un po’. Questo è anche il problema con la droga. Quando emergiamo dal loro incantesimo ci ritroviamo con la stessa realtà e gli stessi problemi, ma ora con meno tempo ed energia per concepire soluzioni pratiche».

Le vittime della dipendenza da social network non sono soltanto i nativi digitali. Spesso questo fenomeno viene osservato anche nelle generazioni precedenti: «Vedo molte persone di mezza età, che non sono cresciute con questi dispositivi, che sviluppano delle dipendenze da social network. Si tratta spesso di individui che avevano una preesistente vulnerabilità a dipendenze come quella per il sesso o per il gioco d’azzardo, che l’avvento di internet ha poi esacerbato. Sarà interessante vedere se coloro che sono stati nutriti da questi dispositivo come dal latte materno si riveleranno più o meno inclini a questo problema».

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