A che punto siamo, dove stiamo andando e quanto investiamo nella digitalizzazione della Pa

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Cos'è e come funziona la digitalizzazione della Pubblica amministrazione italiana? Una guida alla comprensione dei passaggi fondamentali per una società avanzata

La digitalizzazione Pa (ovvero Pubblica amministrazione) è parte di quell’enorme processo che possiamo chiamare digitalizzazione della società. Di tutto questo fa parte anche la digitalizzazione di imprese e aziende – che abbiamo approfondito la scorsa settimana – e, definendo all’interno della transizione digitale anche quello che accade alla Pubblica amministrazione (più banalmente, digitalizzazione Pa cos’è) possiamo andare a tracciare un sentiero: quello che è stato fatto finora per i servizi pubblici digitali, quello che stiamo facendo adesso – anche al netto del cambio di governo e di tutte le questioni legate a chi si occuperà di innovazione e digitalizzazione in questa legislatura – e quello che dobbiamo fare in futuro per far sì che il nostro paese sia al passo con un processo inarrestabile e fondamentale che vede il digitale diventare un mezzo che semplifica la vita lavorativa e la fruizione dei servizi sia in qualità di individui che in qualità di cittadini.



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Digitalizzazione Pa cos’è: cosa si intende e perché è fondamentale

Partiamo dalla definizione tecnica di digitalizzazione, quella che fornisce la Treccani, e andiamo oltre per capire come si declina quando si tratta di Pubblica amministrazione italiana: «Nella tecnica, conversione di grandezze analogiche in informazioni digitali, effettuata mediante un dispositivo, detto digitalizzatore o convertitore analogico-digitale. Si usa in partic. nei servosistemi per convertire determinate grandezze di ingresso (per es. l’assetto di un certo organo), in numeri, atti a essere inviati in un elaboratore elettronico numerico facente parte del sistema».



A livello concettuale, esiste una definizione di digitalizzazione della Pubblica amministrazione che viene data dal governo  poiché – a prescindere dalle fazioni al potere – questo obiettivo è uno di quelli che rimane comune e che vede il lavoro dei partiti e delle legislature cumularsi nel tempo. A questo proposito, vale la pena – prima di andare avanti – fare chiarezza su come sta procedendo la premier Giorgia Meloni in tal senso. Avendo scelto di non impiegare un ministro a Innovazione e Transizione digitale (nel governo precedente il ruolo era di Colao), il ruolo di colui che dispone dei moltissimi finanziamenti del PNRR sarà di un sottosegretario (è stato fatto il nome dell’esponente di Fratelli d’Italia Alessio Butti).

Tornando al settore Pubblica amministrazione, vediamo come sul sito del governo si parli della digitalizzazione «dalle infrastrutture ai servizi, passando per competenze e processi». «L’obiettivo è rendere la Pubblica Amministrazione la migliore “alleata” di cittadini e imprese, con un’offerta di servizi sempre più efficienti e facilmente accessibili», si legge sulla pagina, definendo lo scopo: migliorare la vita dei cittadini e delle imprese, con una istituzione che diventi alleata garantendo sempre il miglior livello possibile nei servizi. Ecco il punto chiave è l’importanza enorme di una Pubblica amministrazione che punta alla digitalizzazione, investendo denaro nel modo e negli ambiti corretti, così da far fruttare al massimo quanto speso.



Transizione digitale: come procediamo alla digitalizzazione della società italiana

«Per fare ciò, da un lato si agisce sugli aspetti di “infrastruttura digitale” – viene spiegato sul sito del governo che si occupa di chiarire le modalità della digitalizzazione Pa in Italia -, spingendo la migrazione al cloud delle amministrazioni, accelerando l’interoperabilità tra gli enti pubblici, snellendo le procedure secondo il principio “once only” (secondo il quale le pubbliche amministrazioni devono evitare di chiedere a cittadini ed imprese informazioni già fornite in precedenza) e rafforzando le difese di cybersecurity. Dall’altro lato vengono estesi i servizi ai cittadini, migliorandone l’accessibilità e adeguando i processi prioritari delle Amministrazioni Centrali agli standard condivisi da tutti gli Stati Membri dell’Unione Europea».

Servizi pubblici digitali: in che modo lo Stato investe i soldi

«Per rendere tutto questo realmente funzionale alla transizione digitale del paese, questi interventi sono accompagnati da iniziative di supporto per l’acquisizione e l’arricchimento delle competenze digitali», si conclude per definire quello che nel paese stiamo facendo e quello a cui puntiamo. Gli investimenti di denaro, in particolare, ci concentrano in sette principali ambiti: 900 milioni – secondo i dati forniti dal sito del governo – vengono investiti in infrastrutture digitali con un «approccio “cloud first”, orientato alla migrazione dei dati e degli applicativi informatici delle singole amministrazioni verso un ambiente cloud. Un cambiamento che porterà a servizi più sicuri e integrati». Si parla anche di un’abilitazione e facilitazione migrazione al Cloud e, in questo ambito, l’investimento è pari a 1 miliardo di euro per «accompagnare la migrazione della PA centrali e locali al cloud»; a tale scopo è «previsto un programma di supporto e incentivo per trasferire basi dati e applicazioni, in particolare rivolto alle amministrazioni locali».

Nell’ambito dati e interoperabilità di stanno investendo 650 milioni di euro al netto del fatto che «il gap digitale della PA italiana si traduce oggi in ridotta produttività e spesso in un peso non sopportabile per cittadini e imprese, che debbono accedere alle diverse amministrazioni come silos verticali, non interconnessi tra loro». Il punto è quello di ottenere banche dati pubbliche che parlino tra loro, così che fornire i propri dati e le informazioni per fare una procedura – il rilascio della tessera elettorale, per esempio – avvenga una sola volta e valga anche per qualsiasi altro ambito – sporgere una denuncia, tanto per dirne una – senza che il cittadino e l’impresa debbano compilare certe e form infinite volte fornendo dati già precedentemente rilasciati centinaia di volte in una vita.

Particolarmente cospicuo l’investimento dedicato a servizi digitali e cittadinanza digitale (2,01 miliardi di euro) che si sostanzia in «investimenti mirati a semplificare la vita digitale dei cittadini, attraverso migliori servizi pubblici». In tal senso, devono migliorare accessibilità e fruizione dei servizi pubblici digitali, si punta anche ad accelerare l’adozione di pagoPA e dell’identità digitale (SPID). 610 milioni di euro, inoltre, vengono investiti anche nell’ambito della digitalizzazione delle grandi amministrazioni centrali, che spesso prevedono ancora servizi inefficienti e non digitali.

Capitolo a parte ma fondamentale è quello relativo alla cybersecurity, con 620 milioni dedicati a partire da una precisa considerazione: «La digitalizzazione aumenta il livello di vulnerabilità della società da minacce cyber su tutti i fronti» a partire da «frodi, ricatti informatici o attacchi terroristici». Nel programma di governo, a partire dalla piena attuazione della disciplina in materia di “Perimetro di Sicurezza Nazionale Cibernetica”, si punta a un’Italia digitale 2026 forte delle sue difese cyber.