Didattica a distanza e digital divide, ecco perché le scuole chiuse non sono uguali per tutti

Se è vero che l’emergenza coronavirus è stata inattesa e repentina e non ha permesso di studiare soluzioni alternative, è pur vero che la chiusura delle scuole fino al 15 marzo impone una riflessione. Anche perché questo periodo di allontanamento forzato dalle aule da parte degli studenti non verrà gestito in maniera uniforme in tutte le zone di Italia, a partire dalle aree del focolaio, fino ad arrivare alle regioni del sud. La grande differenza che c’è tra una scuola e l’altra si sostanzia nella cosiddetta didattica a distanza. Si tratta di metodi, basati su lezioni e apprendimenti online, che si appoggiano su alcune piattaforme dedicate che, negli ultimi giorni, stanno avendo molto successo vista la contingenza della situazione. Alcune di queste stesse piattaforme (Moodle, weschool, Google classroom, ad esempio) sono open source e facilmente accessibili.

Il problema, sia chiaro, non esiste soltanto in Italia, ma anche in altri Paesi d’Europa e del mondo. Misure analoghe sulla chiusura delle scuole sono state prese anche in altri 13 Stati, tanto da preoccupare l’Unesco in merito alla situazione educativa: questa decisione, secondo l’agenzia, implica una riduzione dei tempi di apprendimento e può avere altre ripercussioni come effetti dannosi sulle famiglie e sul lavoro dei genitori.

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Didattica a distanza, come è messa l’Italia da questo punto di vista

Ma il problema non è tanto questo o la strumentazione didattica a disposizione, quanto la reale applicabilità in poco tempo di misure che, in gran parte degli istituti italiani, erano poco più che sperimentali. In Italia, secondo alcuni dati reperibili sul sito del Miur, sono disponibili diversi corsi di formazione per docenti, relativi alla didattica a distanza. Ma il governo non ha uniformato l’utilizzo della didattica a distanza sul territorio nazionale, lasciando discrezionalità alle scuole sul suo utilizzo.

In alcuni istituti della zona rossa, che hanno dovuto affrontare la chiusura delle scuole già da circa dieci giorni, alcuni progetti di questo tipo sono partiti. Ma in altri si naviga a vista. Lo stesso varrà per le scuole di tutti gli ordini e gradi diffuse in tutta Italia e che sono state raggiunte dal decreto nella serata di ieri. Certo, ci sono degli istituti d’eccellenza (non necessariamente al nord) che utilizzano questa didattica a distanza già da diverso tempo, ma una cosa è utilizzarla come integrativa rispetto a quella tradizionale, un’altra è utilizzarla in via esclusiva.

Didattica a distanza e digital divide

Ci si scontrerebbe innanzitutto con questioni di ordine pratico: il digital divide tra le diverse aree del nostro Paese è ancora molto accentuato, dal momento che non c’è uniformità dal punto di vista della connessione a internet (ad esempio). Lo stesso vale per gli strumenti informatici a disposizione. Inoltre, occorre sottolineare che le best pratics di didattica a distanza per le scuole di primo grado prevedono che gli alunni siano accompagnati da un adulto nelle loro ore di apprendimento da casa. Senza contare, ovviamente, che non tutte le discipline si adattano alle lezioni a distanza, con le attività laboratoriali – ad esempio – che ne escono inevitabilmente penalizzate. Va da sé che una situazione d’emergenza non può risolvere con una bacchetta magica tutti questi problemi annosi della struttura sociale italiana.

Nei prossimi giorni, inoltre, saranno date indicazioni molto più chiare da questo punto di vista, anche sull’eventuale riduzione dei programmi scolastici e sulla gestione degli esami di maturità. Ma la sensazione è che questa chiusura delle scuole, soprattutto se dovesse estendersi per un periodo più prolungato, non farà altro che creare un gap. O, meglio, allargare quello preesistente in condizioni normali.

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