Perché non sarebbe potuto bastare il solo “database oncologico” per arrivare a Messina Denaro

Le parole del colonnello Arcidiacono hanno parzialmente smentito la notizia circolata nella serata di ieri sullo strumento impiegato dagli investigatori

17/01/2023 di Redazione Giornalettismo

C’è stata una questione, nella vicenda dell’arresto di Matteo Messina Denaro, che ha subito sollevato l’attenzione di tutti coloro che cercavano maggiori informazioni per spiegarsi le modalità con cui è avvenuta la cattura dell’ormai ex super latitante di Cosa Nostra. A un certo punto, la cronaca giornalistica ha tirato fuori delle presunte indagini dell’autorità giudiziaria su un presunto database oncologico che avrebbe conservato i dati relativi a una persona assimilabile a una storia come quella di Messina Denaro. In realtà, la notizia di oggi è che questa consultazione non ci sarebbe stata. O meglio, sarebbe avvenuta in una modalità molto diversa rispetto a quella raccontata. A darci questa informazione è la viva voce del colonnello Lucio Arcidiacono, l’esecutore materiale dell’arresto di Matteo Messina Denaro all’interno della clinica privata La Maddalena di Palermo. È lui, ai microfoni di Rai News 24, a negare l’utilizzo del database oncologico.

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Il presunto ruolo del database oncologico nell’arresto di Matteo Messina Denaro

«Non abbiamo consultato il database oncologico – ha detto il colonnello nell’intervista a RaiNews 24 -: abbiamo fatto degli accertamenti molto, molto complessi grazie alla collaborazione del Ministero della Salute, che ovviamente non era informato sul perché stessimo facendo gli accertamenti. Abbiamo consultato tutta una serie di flussi informativi che arrivano a livello centrale e siamo arrivati al particolare, ma analizzando migliaia e migliaia di dati su tutto il territorio nazionale».

Quando si tratta di operazioni di magistratura così complesse come può essere stata quella della cattura di una persona latitante da 30 anni, occorre sempre leggere tra le righe delle dichiarazioni pubbliche che vengono fornite. Innanzitutto, ci era già sembrato piuttosto strano il riferimento a un presunto database oncologico. Semplicemente per il fatto che, al momento, in Italia non esiste un singolo database oncologico, ma ce ne sono tanti, sia a livello regionale, sia a livello interregionale. Questi database, nella maggior parte, contengono informazioni come dati di dimissione ospedaliera, prescrizioni farmaceutiche, dati anagrafici anonimi e dati di laboratorio come «strumento di valutazione di impatto e di appropriatezza delle attività di prevenzione primaria e secondaria in ambito oncologico».

Il concetto di dato anagrafico anonimo

Un aspetto non sarà di certo sfuggito: i database oncologici contengono dati anagrafici anonimi. A spiegarci cos’è il concetto di dato anagrafico anonimo ci pensa il GDPR, nel suo glossario contenuto all’articolo 4. Nella fattispecie, i dati anagrafici anonimi si configurano quando sussiste:

«il trattamento dei dati personali in modo tale che i dati personali non possano più essere attribuiti a un interessato specifico senza l’utilizzo di informazioni aggiuntive, a condizione che tali informazioni aggiuntive siano conservate separatamente e soggette a misure tecniche e organizzative intese a garantire che tali dati personali non siano attribuiti a una persona fisica identificata o identificabile». 

La consultazione del singolo database oncologico regionale o interregionale avrebbe consentito agli investigatori di accedere a una serie di informazioni sui trattamenti ricevuti da Matteo Messina Denaro (o meglio dal suo alias Andrea Bonafede) e a una serie di dati personali resi anonimi dai gestori del trattamento degli stessi. Dunque, in alcun modo la sola consultazione del database oncologico avrebbe permesso di ottenere il nominativo di Andrea Bonafede. E questo aspetto è stato confermato dalle rivelazioni del colonnello Arcidiacono di oggi: non un semplice accesso al database, ma una richiesta esplicita al Ministero della Salute che, tuttavia, non sarebbe stato a conoscenza della motivazione per cui le forze dell’ordine avevano richiesto gli approfondimenti necessari alle loro indagini. Ma una modalità di consultazione di questo tipo – alla presenza di queste caratteristiche – lascia pensare che, al contrario di quanto dichiarato, il modus operandi dell’indagine sia andato dal particolare al generale e non viceversa. 

La formula volutamente vaga che è stata utilizzata per spiegare in che modo fosse stato ottenuto questo dato fa capire quanto l’operazione sia stata – nella migliore delle ipotesi – non ordinaria.

foto IPP/Pasquale Ponente – Palermo

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