Per il commissario della Polizia di Londra i giganti tech rendono impossibile fermare i terroristi

La questione crittografia end-to-end e terrorismo continua ad essere discussa provando a trovare la quadra, da un lato i giganti tech e dall'altro le forze dell'ordine e i governi

13/09/2021 di Ilaria Roncone

Cressida Dick, commissario della polizia metropolitana di Londra, ha lanciato un’accusa precisa: a volte, i giganti tech rendono praticamente impossibile identificare e fermare i terroristi. Tutto gira attorno all’attenzione per la privacy e la crittografia end-to-end che rende «impossibile in alcuni casi» – come ha scritto Dick sul Telegraph dello scorso sabato – per la polizia fare il proprio lavoro. La questione crittografia end-to-end terrorismo è molto delicata e la posizione del commissario molto netta, considerato anche che le aziende tech sono state invitate a mettere a sicurezza degli utenti prima del profitto.

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Crittografia end-to-end terrorismo: sono troppe le complicazioni attuali

I progressi delle nuove tecnologia comportano una serie di problemi, tra questi spicca il fatto che per i terroristi tutto sia più semplice: «Reclutare chiunque, ovunque e in qualsiasi momento», ha sottolineato Dick, grazie ai social media complica particolarmente il lavoro delle forze dell’ordine. Il punto è che – come accade nell’ambito della cyber criminalità e degli attacchi hacker – la polizia deve essere in grado di tenere il passo con i terroristi sul piano tecnologico.

Una sfida enorme la costituisce la crittografia end-to-end, ovvero quel meccanismo che impedisce a chiunque di leggere i messaggi inviati tranne al mittente e al destinatario. Nel Regno Unito – come riporta BBC – è stato lanciato il Safety Tech Challenge Fund, un fondo che fornirà 85 mila sterline ciascuno a cinque candidati che dimostreranno di riuscire a sviluppare nuove tecnologie per rilevare materiale di pedopornografico senza infrangere la crittografia end-to-end.

Davvero è necessario violare la privacy?

Della questione si parla dal 2019 non solo nel Regno Unito. Anche Stati Uniti e Australia hanno più volte evidenziato i punti critici di questa tecnologia. Se, da un lato, la privacy degli utenti è protetta a tutto tondo – teoricamente parlando – dall’altro ci sono dei problemi oggettivi per chi deve occuparsi di scovare non solo i cyber criminali ma anche chi organizza attentati nel mondo reale.

Secondo Alec Muffett – capo del team che ha implementato la tecnologia end-to-end per Facebook Messenger – violare la privacy non è necessario poiché le aziende tech possiedono già tutta la tecnologia necessaria per individuare terroristi e pedofili. «Se avete un account Facebook di un uomo di mezza età che messaggia a caso una dozzina di adolescenti di punto in bianco, allora avete un’attività potenzialmente sospetta. Potrebbe essere innocente – ha sottolineato – ma è certamente un problema che vale la pena approfondire».

Una situazione delicata, quindi, nella quale è difficile tracciare un confine netto ma che sicuramente richiede che le parti coinvolte si siedano al tavolo per trovare il metodo giusto per garantire la sicurezza dei cittadini non garantendo ai criminali l’esistenza di piattaforme a prova di bomba.

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