I documenti visionati da ProPublica sulle chat Whatsapp “lette” da Facebook

Si parla di crittografia end-to-end che, in realtà, sarebbe "bucata" dai controlli dell'azienda madre per verificare "eventuali abusi". Va contro le regole sulla privacy?

08/09/2021 di Enzo Boldi

Da mesi, fin da quando Whatsapp ha annunciato alcune sostanziali modifiche nella policy sulla privacy, si è iniziato a discutere della reale efficacia della crittografia end-to-end. Il team, in realtà, non riguarda nello specifico la dinamica di protezione dei messaggi, ma come Facebook – società madre che ha acquisito la famosa app di messaggistica istantanea nel 2014 – possa aggirare questo livello di “tutela”. Insomma, la domanda è: la crittografia Whatsapp impedisce a Facebook di leggere i nostri messaggi?

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Leggendo i documenti citati da ProPublica, la risposta sembra essere abbastanza negativa. I giornalisti del noto sito di informazione – famoso per le sue inchieste trasversali su politica, società, vecchi e nuovi media – sono entrati in possesso di alcune pagine fondamentali (tra report e interviste a dipendenti – ed ex – che lavorano per Facebook) che mostrano una direzione ben differente rispetto ai proclami annunciati da Mark Zuckerberg sulla sicurezza e la protezione dei messaggi (audio, video, scritti e foto) che quotidianamente condividiamo con i nostri contatti.

In particolare, ProPublica afferma: «Molte delle affermazioni dei moderatori di contenuti che lavorano per WhatsApp fanno eco a una denuncia confidenziale di informatori presentata l’anno scorso alla Securities and Exchange Commission degli Stati Uniti. La denuncia, ottenuta da ProPublica, descrive in dettaglio l’ampio uso da parte di WhatsApp di appaltatori esterni, sistemi di intelligenza artificiale e informazioni sull’account per esaminare messaggi, immagini e video degli utenti. Sostiene che le affermazioni dell’azienda di proteggere la privacy degli utenti sono false». Perché il grimaldello che ha aperto questo vaso di Pandora è proprio quello dei “moderatori”.

Crittografia Whatsapp, i messaggi sono realmente protetti? I documenti nelle mani di ProPublica

La testata, infatti, spiega come sul web ci siano moltissimi annunci (senza mai citare Facebook e/o Whatsapp) in cui si cercano “moderatori”. Chi sono e cosa fanno? Si tratta di dipendenti che hanno il compito di controllare un vasto numero di messaggi che ci scambiano attraverso l’app di messaggistica istantanea. E non si tratta di un qualcosa che avviene all’oscuro di tutto: come noto, infatti, Menlo Park ha sempre detto di voler creare un ecosistema digitale pulito e ripulito da quei contenuti illegali. Ma, come spiega ProPublica, tutto ciò rappresenterebbe una contraddizione: la crittografia Whatsapp (che vive del sistema end-to-end, quindi con i contenuti accessibili e visionabili solo dal mittente e dal destinatario) non può essere “bucata” per effettuare “moderazioni” di questo tipo.

I precedenti e il regolamento ChatControl

Un tema simile, infatti, è stato già affrontato in diversi Paesi. A inizio settembre, per esempio, l’Irlanda ha multato Whatsapp (una sanzione da 225 milioni di euro) per la “poca trasparenza sui dati condivisi con Facebook”. Il tema, dunque, era lo stesso sollevato da ProPublica che parla citando documenti entrati in suo possesso. E si tratta di un argomento molto attuale e sensibile visto che a luglio l’Unione Europea ha approvato un regolamento denominato “ChatControl“: anche in quel caso si tratta di un controllo per prevenire e tentare di ridurre al minimo comportamenti “illegali” via chat (si parla, soprattutto, di pedopornografia), ma il tutto fa venir meno il concetto di crittografia end-to-end.

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