Coronavirus, prof. Rossi: “Avviata terapia sperimentale basata sul virus del gatto in USA, entro un mese primi risultati”

La corsa contro il tempo per garantire al mondo un vaccino contro il coronavirus prosegue e l’ultima novità arriva da uno studio italiano avvenuto nelle Marche. Il professor Giacomo Rossi, medico veterinario della Scuola di bioscienze e medicina veterinaria dell’Università di Camerino, è a capo di un gruppo di ricerca che ha messo a punto una terapia che – basata su uno studio sul Coronavirus del gatto – FeCoV – potrebbe aprire incoraggianti scenari alla cura del coronavirus.

Dopo un attento studio e analisi è nato il brevetto che, in tre giorni, è stato depositato negli USA (Washington DC) e che già è in fase di valutazione in vari ospedali statunitensi e canadesi. Il professor Rossi è stato in onda su Radio 105 all’interno di “Tutto esaurito”, programma di Marco Galli, per parlare proprio dello studio che hanno portato avanti e del perché può essere importante per tentare di realizzare un vaccino.

Il professor Rossi spiega come con questa terapia si cerchino di chiudere le porte di accesso cellulari attraverso le quali si propaga il coronavirus:

“È un protocollo terapeutico che serve a tentare di rallentare l’infezione e cercare di preservare il fatto che i pazienti possano andare in terapia intensiva.  È uno studio che si basa su tre molecole, tutte e tre già conosciute da tempo. La prima ha un effetto contro il legame del virus nei settori cellulari perché rallenta l’avanzata dell’infezione, nel senso che se le cellule hanno 10 porte d’ingresso per 10 virus, noi cerchiamo di chiuderne 6 o 7, in modo tale che i pochi virus che passano facciano pochi danni. La terapia combinata ha questa funzione: se si riuscisse a bloccare tutto l’ingresso sarebbe un sogno, sarebbe il risultato più atteso”.

Lo studio è avvenuto sui gatti, che hanno coronavirus diversi dal nostro e che assolutamente non sono comunque contagiosi per l’uomo:

“Il gatto ha i suoi coronavirus e noi veterinari li conosciamo bene questi coronavirus perché tutte le specie animali li hanno. La mia ricerca è partita da quello del gatto che non è pericoloso per l’uomo e purtroppo anche nel gatto causa gravi problemi e non c’è ancora una terapia né un vaccino. Gli animali non sono immuni per alcuni coronavirus. Lo possono diventare, ma purtroppo nel caso del gatto questa forma particolare di virus non genera un’immunità protettiva. E questo è il problema di questo covid-19, che effettivamente non sempre chi si ammala sviluppa anticorpi protettivi e può addirittura ammalarsi di nuovo o comunque tornare ricettivo”.

Il professore ha anche spiegato come mai il brevetto di uno studio italiano sul coronavirus sia finito negli Stati Uniti, dove ha trovato i finanziamenti dall’imprenditore Francesco Bellini, a sua volta scienziato, cofondatore della società canadese Biochem Pharmache ed ex presidente dell’Ascoli:

“Il professor Bellini era interessato alla registrazione negli Stati Uniti del nostro studio. Gli Stati Uniti stanno vivendo un momento molto poco felice e questa è diventata anche là una possibile opzione e alcune cliniche la stanno adottando, quindi si stanno formando gruppi di persone che si iscrivono per poter testare la terapia. Tra un mese i primi risultati di trial clinici ci saranno perché questa è una patologia acuta e dal punto di vista dell’iter sperimentale non richiede tempi molto lunghi perché nel giro di qualche settimana il paziente esce dalla fase critica. Entro un mese avremo i primi risultati sull’efficacia, questi risultati ci permetteranno poi di utilizzarla con sicurezza in molti altri ospedali”.

Staremo vedere se lo studio sul gatto sarà decisivo per il coronavirus, sicuramente nel caso vorremo ancora più bene agli amici felini che ribadiamo non sono veicoli di trasmissione del virus.

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