Si può fare influencer marketing senza essere “influencer”?

Una start-up che pensa che il ruolo della community sia più determinante di quello del celebrity influencer

13/02/2024 di Gianmichele Laino

Il concetto di community, prima di quello di influencer. È una sorta di riappropriazione delle regole del mercato e della gestione dei contenuti promozionali in un momento storico in cui uno dei principali veicoli promozionali è rappresentato dal profilo dei content creator sui social network. Fino a questo momento, per le aziende, per i brand, per i progetti editoriali più celebri affidarsi ai milioni di followers di ciò che le agenzie definiscono celebrity influencer è stato garanzia di conversione pubblicitaria. Mi rivolgo a una personalità che, attraverso i suoi contenuti, è riuscita ad attirare l’interesse del pubblico per fare in modo che quello stesso pubblico possa raccogliere i suoi suggerimenti quando si tratta di un prodotto da utilizzare. Una volta questo stesso principio era seguito – ad esempio – dai testimonial dei grandi spot televisivi. Un viso noto, amato, con cui i telespettatori erano in sintonia: serviva a convincerli ad acquistare, a spendere, a investire, a usufruire di un servizio. Ma quello che succedeva ai grandi testimonial molto spesso condizionava anche i brand che a questi si erano affidati.

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La community e i celebrity influencer

La versione digitale di quanto abbiamo affermato è stata sicuramente rappresentata dal caso di Chiara Ferragni e dall’indagine sul tema della beneficenza collegata alla vendita dell’edizione speciale del Pandoro Balocco. Il riflesso di quanto abbiamo detto – con brand che ritirano la collaborazione e con una generalizzata percezione della perdita di fiducia da parte di utenti dei social network – porta a fare una seria riflessione sul ruolo dei celebrity influencer nel marketing contemporaneo.

Dal momento che basta davvero poco – con i social sempre puntati addosso – per far esplodere un qualche tipo di scandalo, forse è necessario individuare altre forme di propagazione del messaggio. Del resto, la pubblicità a un marchio si basa su quanto si parli del marchio stesso. E allora perché non si sostituisce il volume che può generare una sola persona con quello che può derivare dalla ripetizione di più persone, micro-influencer o utenti comuni a cui sempre più spesso le aziende si affidano?

Il caso di Popularise, una start-up che sta muovendo dei passi decisivi e che – come vedremo in altri articoli del monografico di oggi – si basa anche su strumenti di intelligenza artificiale per la corretta individuazione delle community più adatte per un brand, dimostra che anche in Italia si sta facendo questa riflessione. Una riflessione che sta già cambiando e che cambierà ancor di più il mondo dell’influencer marketing.

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