Le commissioni sui pagamenti digitali e l’alibi di Pago PA per diversi esercenti

Il sistema di pagamenti unico per la pubblica amministrazione prevede delle commissioni ancora molto alte a carico dei cittadini. E i commercianti guardano qui per giustificare la loro ostilità ai pagamenti elettronici

05/12/2022 di Redazione

La credibilità di uno Stato si misura anche dalle piccole (ma a volte mica tanto piccole) cose. La questione dei pagamenti elettronici ha concentrato su di sé diverse attenzioni da parte di diversi esecutivi, come abbiamo avuto modo di vedere in questo prospetto della storia del POS in Italia. Oggi, è tornata prepotentemente d’attualità, viste anche le nuove regole che – sul tema – vorrebbe introdurre il governo di Giorgia Meloni. L’istituzione di una soglia oltre la quale garantire l’obbligo di accettare pagamenti elettronici – attualmente fissata sui 60 euro – è oggetto di discussioni da diversi giorni ormai e vede l’Italia divisa in due: da un lato ci sono i consumatori, tendenzialmente favorevoli all’utilizzo del POS (i pagamenti elettronici nel nostro Paese sono aumentati in maniera significativa negli ultimi anni); dall’altro ci sono gli esercenti, che si lamentano per le commissioni che ogni transazione comporta. A rafforzare i loro dubbi, contribuisce anche la questione delle commissioni di Pago PA.

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Commissioni di Pago PA, come funzionano e perché non sono un bel segnale

Pago PA è il sistema di pagamento unico per la pubblica amministrazione. Attraverso questo metodo di pagamento, è possibile pagare i vari bollettini che vengono emessi dall’Agenzia delle Entrate, senza limiti predefiniti per i costi dell’operazione. Tuttavia, c’è da sempre in ballo una querelle decisamente importante che è relativa alle commissioni richieste per questo metodo di pagamento: a seconda del Prestatore di servizi di pagamento che viene utilizzato dall’ufficio o dall’ente, le commissioni sono a carico del cittadino e possono variare anche di molto. Nelle FAQ di Pago PA sono riportati alcuni esempi: Intesa San Paolo prevede 50 centesimi di commissione, Unicredit 95 centesimi, il circuito NEXI arriva fino a 1,50 euro. Ma ci sono anche dei casi – raccolti, ad esempio, dall’associazione Altroconsumo – in cui le commissioni a carico dei cittadini possono arrivare fino a 2,50 euro. Nonostante le giustificazioni della Pubblica Amministrazione – secondo cui il fatto che le commissioni, con Pago PA, siano ora dichiarate in maniera esplicita, non significa che prima queste commissioni non fossero pagate dai cittadini -, si tratta evidentemente di un segnale non propriamente positivo nei confronti della digitalizzazione del Paese.

E il commerciante, che assume invece a suo carico le commissioni (vedremo nel dettaglio di che tipo) per i pagamenti elettronici, si sente in qualche modo legittimato a portare avanti la sua protesta contro il POS (appoggiando, in questo, la direzione verso cui il governo si sta spostando negli ultimi giorni). C’è da dire, è vero, che le commissioni per gli esercenti – al giorno d’oggi – sono fortemente mitigate. Sono diversi gli istituti di credito che, ad esempio, hanno azzerato le commissioni sui micropagamenti (al di sotto dei 10 o dei 15 euro, a seconda dei casi); inoltre, secondo i dati dell’Osservatorio Innovative Payaments, sui pagamenti più corposi queste commissioni si attestano tra lo 0,9% e l’1,8% del valore della transazione (non lontano dalla percentuale a carico dell’esercente per il costo del denaro contante). Non una spesa insostenibile, che dunque non giustifica le proteste contro l’obbligo del POS.

Tuttavia, se la situazione di Pago PA resta quella attuale, l’esercente potrebbe sempre avere dalla sua un alibi: se la Pubblica Amministrazione prevede un pagamento esterno per le commissioni, perché queste ultime – nel caso delle transazioni commerciali – dovrebbero rimanere a loro carico? Sarebbe buona prassi, dunque, per lo Stato raccogliere le proteste delle associazioni dei consumatori e – esattamente come avviene per i commercianti – farsi carico delle spese di Pago PA.

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