L’Accademia della Crusca dice che la parola cybersicurezza è inopportuna

L'osservazione dopo il decreto legge apposito che istituisce l'ANC

14/06/2021 di Gianmichele Laino

Nel dubbio, bisognerebbe seguire una strada già battuta. E invece, si preferisce scegliere soluzioni ibride, spesso condannate dagli stessi artefici del decreto legge. Stiamo parlando del dilemma linguistico cibersicurezza o cybersicurezza, all’indomani del consiglio dei ministri che ha approvato la formazione dell’Agenzia Nazionale della Cybersicurezza. L’Accademia della Crusca si è espressa con chiarezza contro l’impiego del termine Cybersicurezza, perché rappresenterebbe una sorta di cane a due teste, con problemi collegati sia alla pronuncia, sia all’incoerenza terminologica con altre espressioni inserite all’interno del corpus legislativo.

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Cibersicurezza o cybersicurezza, il dilemma risolto dalla Crusca

Il comunicato stampa con cui il Gruppo Incipit (che lavora all’interno dell’Accademia della Crusca e che si occupa di neologismi e forestierismi ) ha dato spazio al problema sembra essere un j’accuse molto serio nei confronti delle istituzioni italiane: La cibersicurezza è importante. L’italiano pureMettendo un accento piuttosto serio sulla questione linguistica che ha animato la formazione della nuova agenzia. Nel testo del decreto, infatti, si utilizza cybersicurezza. Una parola che, per la Crusca, non ha senso impiegare.

«L’introduzione di un ibrido italo-inglese come cybersicurezza (calcato sull’inglese cyber security) in questo caso, oltre a porre problemi di pronuncia determina anche una incoerenza terminologica che si formerebbe nel corpus legislativo – scrivono gli accademici -. Si invitano quindi gli organi legislativi a far uso delle risorse della lingua italiana e a ripristinare al suo posto la locuzione “sicurezza nazionale cibernetica” o a sostituirlo con cibersicurezza».

In passato, la Crusca aveva già sollevato il problema, sottolineando come la presenza della parola cibernetica in italiano possa giustificare l’utilizzo del prefisso ciber- e non del calco inglese cyber-. Sempre qualche anno fa, la Crusca aveva anche sottolineato l’esigenza di introdurre un trattino tra il prefisso e la parola successiva, onde evitare sequenze inusuali.

Insomma, una bella tirata d’orecchi a chi ha predisposto il testo del decreto legge. E subito ritornano alla mente le parole di uno dei primi discorsi di Mario Draghi, poco dopo il suo insediamento a Palazzo Chigi. Il 12 marzo scorso, mentre visitava il centro vaccinale di Fiumicino, il presidente del Consiglio – dopo aver pronunciato parole come babysitting e smartworking – si lasciò andare a un piccolo fuori programma: «Chissà perché dobbiamo usare tutti questi termini inglesi?» – disse di fronte a un gruppo piuttosto divertito di giornalisti. Ecco, nel decreto legge che lui stesso ha animato ci sarebbe stata la possibilità di eliminare un po’ di questa terminologia inglese che – da qualche tempo – ha acquisito spazi sempre più ampi nella nostra lingua.

Foto IPP/Fabio Cimaglia – Roma

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