Chiese chiuse, anzi no. Il passo indietro della Diocesi di Roma

13/03/2020 di Enzo Boldi

La fede è più forte del Coronavirus. La diocesi di Roma, nella giornata di giovedì, aveva annunciato le chiese chiuse proprio per evitare assembramenti in un periodo di emergenza sanitaria. La decisione, però, ha avuto il suo dietrofront in meno di 24 ore. Il vicariato, infatti, ha comunicato il passo indietro dopo la scelta di ieri, consegnando la riapertura degli edifici ecclesiastici alla volontà e alla coscienza di ogni singolo parroco.

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Nel comunicato diffuso dal sito ufficiale della Diocesi di Roma, e firmato dal Cardinale vicario Angelo De Donatis, si fa riferimento all’emergenza in Italia che, però, non può portare alle chiese chiuse: «Tuttavia, ogni provvedimento cautelare ecclesiale deve tener conto non soltanto del bene comune della società civile, ma anche di quel bene unico e prezioso che è la fede, soprattutto quella dei più piccoli». L’annuncio porta alla modifica del decreto pubblicato nella giornata di giovedì.

Chiese chiuse, anzi no. Ora riaprono

«Il Decreto Prot. N. 468/20 viene pertanto modificato, ponendo in capo ai sacerdoti e a tutti i fedeli la responsabilità ultima dell’ingresso nei luoghi di culto – si legge ancora nella nota diffusa dalla Diocesi di Roma -, in modo tale da non esporre ad alcun pericolo di contagio la popolazione e nel contempo evitare il segno dell’interdizione fisica dell’accesso al luogo di culto attraverso la chiusura del medesimo, la quale potrebbe creare disorientamento e maggior senso di insicurezza». E Mario Adinolfi esulta per questo passo indietro.

Il passo indietro della Diocesi di Roma

Sarà compito dei sacerdoti, dunque, decidere sulle chiese chiuse o aperte. Così è scritto nel testo dell’ultimo decreto diffuso dalla Diocesi di Roma e firmato dal Cardinale Vicario Angelo De Donatis.

Si esortano i fedeli, fino a venerdì 3 aprile p. v. ad attenersi con matura coscienza e con senso di responsabilità alle direttive dei Decreti della Presidenza del Consiglio dei Ministri di questi ultimi giorni, in particolare quelle del c.d. Decreto “#Io resto a casa#”. In conseguenza di questo sopra esposto, i fedeli sono dispensati dall’obbligo di soddisfare al precetto festivo (cf. cann. 1246-1248 C.I.C.). Rimangono chiuse all’accesso del pubblico le chiese non parrocchiali e più in generale gli edifici di culto di qualunque genere (cf. can. 1214 ss. C.I.C.); restano invece aperte le chiese parrocchiali e quelle che sono sedi di missioni con cura d’anime ed equiparate. Restano altresì accessibili gli oratori di comunità stabilmente costituite (religiose, monastiche, ecc. cf. can. 1223 C.I.C.), limitatamente alle medesime collettività che abitualmente ne usufruiscono in quanto in loco residenti e conviventi, con interdizione all’accesso dei fedeli che non sono membri stabili delle predette comunità.

Ora starà ai fedeli fare la propria scelta e ai sacerdoti. Sta di fatto che nel Dpcm annunciato e firmato mercoledì sera da Giuseppe Conte, non si è mai fatto riferimento agli edifici ecclesiastici e, soprattutto, nell’autocertificazione non compare l’indicazione ‘andare in chiesa’ tra i motivi per poter uscire di casa e circolare liberamente.

(foto di copertina: da Pixabay)

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