Le linee guida sugli influencer? «Rischiano di creare problemi sull’inquadramento fisco-previdenziale»

Abbiamo intervistato Carolina Casolo, consulente fiscale e previdenziale che collabora anche con Assoinfluencer

13/02/2024 di Enzo Boldi

Da giorni, oramai, non si parla più delle linee guida redatte da Agcom per gli influencer. Qui riferimenti al TUSMA, con alcuni content creator (in base al numero di follower e all’engagement rate) che – di fatto – sono equiparati (per responsabilità) agli editori sono stati sulla bocca di tutti nei giorni successivi alla pubblicazione. Tutto, poi, è finito nel dimenticatoio e nello scorrere degli eventi e delle giornate. Oggi, però, Giornalettismo ha deciso di affrontare questa tematica – fondamentale visto l’impatto su quel che già è una professione del presente e del futuro – andando a toccare un argomento che, finora, era rimasto inesplorato: gli effetti “fisco-previdenziali” sull’inquadramento degli influencer. Lo abbiamo fatto con la dottoressa Carolina Casolo, consulente fiscale e previdenziale che collabora anche con Assoinfluencer.

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Con Carolina Casolo siamo partiti dalle fondamenta, chiedendole una sua valutazione sulle novità introdotte dall’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni: «Io credo che le linee guida di Agcom per quanto riguarda Influencer e Content Creator siano delle linee guida indicate e richieste ai creator in maniera molto veloce a seguito del caso Ferragni. Credo che sia corretto aver delineato e aver iniziato a pensare a delle linee guida da questo punto di vista, cioè dal punto di vista di una responsabilità professionale del creator, perché giustamente, come tutti le professioni è giusto che anche i creator che vanno ad avere un impatto sul numero di persone estremamente elevato e spesso anche minorenni venga regolamentato». 

Carolina Casolo, l’intervista sulle linee guida Agcom

Dunque, parliamo di una regolamentazione ritenuta giusta e legittima. Almeno nell’obiettivo iniziale. Ci sono dei “lati oscuri” che, purtroppo, rendono questa iniziativa lacunosa: «Però non si può regolamentare una situazione così particolare, un settore così frastagliato, con diverse professionalità, in maniera così generica, andando poi a distinguere tra grandi e piccoli influencer in base al numero di follower, quando abbiamo visto che la metà dei follower di Ferragni sono comprati o morti. Sicuramente si potranno adeguare, migliorare, aggiornare, rendere più calzanti, eccetera. Però, anche per come sono state comunicate queste linee guida, non credo che siano arrivate ai creator in maniera corretta, che non l’abbiano percepito come qualcosa di valore, ma come qualcosa di richiestivo, qualcosa di obbligatorio. Qualcosa del tipo “lo dovete fare perché sennò…” e non funziona così, non deve funzionare così».

E il motivo, secondo Carolina Casolo, è molto semplice: «Perché da una parte stiamo facendo delle richieste ai creator che molto spesso sono dei ragazzi molto giovani che si stanno adesso affacciando al mondo del lavoro e dall’altra parte non gli stiamo dando un supporto per essere correttamente inquadrati e fare il loro lavoro in maniera serena e tranquilla, al pari di qualcuno che fa l’estetista, il consulente del lavoro, il il fonico e così via. C’è questa dicotomia: da una parte chiediamo e richiediamo, dall’altra non diamo e non supportiamo». 

L’inquadramento fisco-previdenziale

Da consulente esperta di fisco e previdenza, la dottoressa Casolo non può non mettere in evidenza alcuni aspetti legati alla sua professionalità: «Credo che queste linee guida che vanno a portare la responsabilità professionale del creator al pari di un editore, possano soltanto creare ulteriori problemi nel gestire un inquadramento fisco-previdenziale corretto. Già siamo in alto mare, perché le istituzioni non hanno idea di che cosa voglia dire fare il creator, inteso lo youtuber, il podcaster o il cantante che fa poi influencer per i brand. Già facciamo fatica così, già abbiamo un istituto previdenziale che deve capire se creare una cassa dedicata o quale cassa a disposizione ha  e possa collegarla ai creator. Se ci piazziamo dentro la possibilità che queste persone rispondano come degli editori andiamo, secondo me, a gettare benzina sul fuoco in un processo che già è molto faticoso, nel cercare di inquadrare una professionalità estremamente complessa, dalle sfumature frastagliate».

Influencer/editori

Ed eccoci arrivare a uno dei temi che Giornalettismo ha sollevato fin dalle ore successive alla pubblicazione delle linee guida di Agcom: perché viene data la responsabilità editoriale (ai sensi del TUSMA) a influencer e content creator invece di darla alle piattaforme social? Carolina Casolo sembra essere d’accordo con questa perplessità: «Pensare male è brutto, però non si fa mai male. La verità qual è? Che è più semplice obbligare un creator a rispondere professionalmente, piuttosto che un big del mondo social (Meta, Youtube, Google, etc)». 

Così, mentre le piattaforme monetizzano attraverso l’afflusso di pubblico verso i contenuti, solo chi pubblica ha la responsabilità. Un gioco che sembra meritevole di un correttivo, ma con le istituzioni che da tempo sono ferme su questo paradosso. E la dottoressa Casolo ci porta un esempio molto recente in Italia: «Lo abbiamo visto con il caso Airbnb. Sono decenni che si cerca di dire ad Airbnb che deve fare determinati adempimenti civilistico-fiscali in Italia e sono decenni che Airbnb non lo fa. Però è un attimo che aumentiamo al 26%, la cedolare secca sulle seconde case che grava sui privati. Quindi, voglio dire, è molto più semplice andare sul contribuente finale e obbligarlo a gestire la sua attività in maniera diversa, perché altrimenti non lavora piuttosto che dare questa responsabilità alle piattaforme. Quindi, logicamente, in questo caso ci vedo ancora di più un modus operandi che non supporta il settore. Cerca di inquadrarlo, incanalarlo, obbligarlo, senza dare un valore aggiunto, senza veramente abbracciarlo e dire “sei tu il valore aggiunto in questo momento storico in Italia sei tu il settore che muove tantissimo gettito fiscale. Allora vedo di aiutarti, di supportarti, di darti modo di fare il tuo lavoro al meglio”».

Carolina Casolo: i social, i giovani e le responsabilità

Per rendere ancor più cristallino il suo pensiero, Carolina Casolo cita se stessa e il suo lavoro, mettendolo in parallelo con quel che – a oggi, stando alle linee guida Agcom – accade a influencer e content creator: «Io sono una consulente fiscale, non sono dottore commercialista, quindi non sono iscritta all’albo, posso rilasciare consulenze fiscali e non sono assicurabile e non sono neanche responsabile, se vogliamo, del parere che ti do perché sono la consulente. È un parere. Com’è possibile che il mio parere fiscale dove do costrutti ad aziende spiego come fare determinati processi, non sia assicurabile e non sia attaccabile? E una persona che fa dei contenuti online, magari di cucina, possa avere una responsabilità al pari di un editore perché equiparata, appunto, ad un’attività diversa?».

Ovviamente, la dottoressa Casolo non mette in dubbio il paradigma della responsabilità dei content creator sui contenuti che pubblicano, ma questo resta un elemento che dovrebbe essere collegato a doppio filo alle responsabilità “editoriali” delle piattaforme: «Ci sta che molti creator si rivolgono ad adolescenti e minorenni, quindi chiaramente c’è anche un impatto sociale da dover andare a controllare. Perché per i più giovani – e lo vedo con le mie nipoti – i social sono il loro mondo. Quello in cui si confrontano. C’è un modo di approcciare alla vita diverso, c’è un modo di parlare di tematiche che rimangono lì dentro e fuori non vengono portate. Quindi è normale che ci debba essere una responsabilità, che ci debba essere un controllo, ma questo controllo deve essere delle piattaforme, non deve essere del singolo. Il singolo deve impegnarsi – come tutti quanti ci impegniamo a fare – il suo lavoro il meglio possibile, ad essere trasparente e onesto e a dare i contenuti di valore e che abbiano un impatto sociale positivo. Ma poi sono le piattaforme che devono controllare, perché sono le piattaforme che guadagnano, sono le piattaforme che pubblicizzano. Quindi non possiamo veramente dare al singolo contribuente-creator questo obbligo. E se lo vogliamo dare, dobbiamo essere onesti e trasparenti, spiegargli molto bene a cosa va incontro, perché a quel punto lui potrebbe decidere di non proseguire».

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