Cambiamento climatico: ecco qual è il vero complotto

Un pugno nei confronti della comunità scientifica. È quello che molti hanno percepito nell’ottobre del 2018 quando  Trump, nel corso di un’intervista, affermò di dubitare che il cambiamento climatico derivasse da cause umane, aggiungendo addirittura che gli scienziati fossero mossi da motivazioni politiche. Il presidente americano aveva del resto abituato il mondo a questo genere di uscite, ma l’accusa nei confronti del mondo scientifico sapeva quasi di stoccata. La rivincita di  gruppi di potere sotto pressione contro evidenze scientifiche che mettevano a repentaglio interessi secolari.

Sì, perché lo scetticismo del potere, e nella fattispecie della destra, nei confronti del “Cambiamento Climatico” non è certo una novità. A ridosso delle elezioni europee, il sito “Unhertad” dimostrò come l’AFD tedesca stava incrementando esponenzialmente i suoi post contro Greta Thunberg. Una sforzo però che veniva da fonti ben definite: l’estrema destra americana e lobby legate alle multinazionali degli idrocarburi. Una costante da almeno più di 20 anni a questa parte.

Il report: dai social network al controllo dell’opinione pubblica

E come in ogni battaglia politica della contemporaneità, l’ago della bilancia, sembrano essere i social network. Secondo uno studio pubblicato lo scorso marzo dall’ong “Influence Map” dalla firma degli accordi di Parigi del 2015, che impegnavano gli stati a contenere l’aumento delle temperature al di sotto dei 2° rispetto all’era pre-industriale (un accordo che per molti scienziati si traduce nell’obiettivo “emissioni zero” tra 2030 e 2050), le grandi multinazionali degli idrocarburi hanno incrementato i loro sforzi per orientare il dibattito sul cambiamento climatico. E lo hanno fatto investendo circa un miliardo di dollari in tre anni. Le aziende che, secondo i dati dei ricercatori, hanno spinto maggiormente sull’acceleratore sulla contro-narrazione sul clima sono Chevron, Bp, Shell, Exxon Mobil e Total e il loro strumento privilegiato, come avvenuto del resto anche per l’affaire Cambridge Analytica, sono i social network.

Un esempio chiaro viene del resto dalle cosiddette elezioni di mid-term americane dello scorso novembre in cui le multinazionali in questione hanno speso circa 2 milioni di dollari per convincere gli americani della bontà dell’utilizzo delle fonti fossili e per orientare l’opinione pubblica verso candidati “amici” o verso decisioni chiave per le sorti economiche delle stesse aziende. I social network più utilizzati per le attività di lobbying sono stati, come spesso accade, Facebook e Instagram, anche per all’eccellente “targetizzazione” di chi li utilizza. Tradotto: grazie alle informazioni raccolte sulla base dei nostri dati e delle nostre interazioni social, queste aziende sono riuscite a mandare messaggi perfettamente calibrati in base ai diversi profili degli utenti per influenzarne le scelte elettorali.

E i risultati spesso sono stati efficaci. È il caso, ad esempio, del referendum sulla cosiddetta Carbon Tax, nello stato di Washington, un’iniziativa legislativa partorita per tassare il consumo di idrocarburi e scoraggiarne l’utilizzo. L’iniziativa non è passata, anche per la forte campagna messa in atto da BP e Chevron: l’investimento in comunicazione ammontava a 13 milioni di dollari, di cui 1 milione solo per le campagne indirizzate ai social network, secondo quanto riportato da Influence Map.

Greta Thunberg e Soros: i temi caldi di chi nega il cambiamento climatico

E In Italia? Se vogliamo andare alla ricerca di chi nega il cambiamento climatico non bisogna nemmeno inoltrarsi nei recessi della rete. Basta volgersi ad alcuni titoli di Libero: «Riscaldamento climatico? Ma se fa freddo» o assistere alla vera e propria campagna d’odio nei confronti della piccola Greta. Ma generalmente, l’ondata di fango diffusa on-line nei confronti dell’attivista svedese e le varie teorie del complotto sono la cartina di tornasole della macchina del fango attivata contro chi si propone di combattere realmente il cambiamento climatico.

In gruppi e dibattiti on-line, la piccola svedese è stata di volta in volta identificata come: massona legata ai Rockfeller, ai Rothschild, rettiliana, manipolata da centri di potere occulti e da genitori senza scrupoli o addirittura di essere incapace di intendere e di volere in quanto affetta dalla sindrome di Asperger.

E non poteva mancare ovviamente, uno dei veri e propri cavalli di battaglia dei complottisti della rete: il collegamento con George Soros. La pietra dello scandalo sarebbe la foto sopracitata che vede la piccola Greta con Luisa Neubauer, una ragazza poco più grande di lei, giovane attivista tedesca secondo molti complottisti legata ai poteri forti (leggi Bono, Soros e Bill Gates) che sarebbe la vera manager della piccola attivista svedese. Luisa Neubauer fa infatti parte di un’associazione chiamata “One Campaign” attiva nel perseguire gli obiettivi di sviluppo sostenibile ONU 2030 che è finanziata in piccola parte (e pubblicamente) anche dalla Open Society di Soros, dalla fondazione di Gates e via dicendo. Si tratta di finanziamenti effettuati alla luce del sole per raggiungere obiettivi prefissati da un’agenda internazionale.

La stessa cosa non si può certo dire invece per altre associazioni o realtà attive per respingere le tesi e le azioni intraprese per contrastare il cambiamento climatico come l’EIKE, CFACT  o The Heartland Institute  veri e propri Think Tank, legati alla destra americana ed europea basati sulla negazione dell’impatto umano nel cambiamento climatico. Associazioni che sono molto attive anche nell’online. Basta del resto dare uno sguardo ai contenuti del sito dell’Heartland Istitute, dai dibattiti orientati ai danni di un ipotetico “Green New Deal” alle tecniche per fermare “il nuovo socialismo” per capire a quali gruppi di interesse si ispirano. Niente rettiliani e massoneria questa volta, per carità. Solo i vecchi e cari poteri forti. Quelli veri.

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