Theresa May si avvia sempre più sola verso una Brexit senza accordo

La Brexit potrebbe essere la cosa peggiore mai capitata a Theresa May. La premier britannica arriva alla viglia del summit straordinario di domani senza ancora nulla in mano. Esattamente ciò che Donald Tusk si era augurato non succedesse: «Senza un accodo di massima al vertice europeo di ottobre, non ci sarà il summit straordinario di novembre» aveva dichiarato il Presidente del Consiglio Europeo. E Theresa domani sera si presenterà a mani vuote alla cena di domani sera, sul cui invito Tusk ha scritto: «Dobbiamo restare fiduciosi e determinati, poiché c’è volontà di continuare questi negoziati da entrambe le parti. Ma al tempo stesso, responsabili come siamo, dobbiamo preparare l’Ue per uno scenario di non accordo, che è più possibile come mai prima d’ora».

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Brexit no-deal, il problema resta il confine irlandese

Domenica sera Michel Barnier e Dominic Raab, i due negoziatori della Brexit rispettivamente per la Ue e per il Regno Unito, si erano incontrati a sorpresa, facendo sperare che un accordo fosse possibile, seppur parziale. Invece niente: alla fine del colloquio è emerso che lo snodo fondamentale su cui i due fronti non riescono a trovare un punto di incontro è il come gestire il confine tra Irlanda e Irlanda del Nord. Proprio su questo punto Theresa May ha dovuto combattere nella Camera dei Comuni.  Il 15 ottobre la premier continuava a parlare di un accordo «raggiungibile» a patto che non «minacci l’integrità» del Regno. Il Governo non vuole cedere ad un “backstop” che l’Europa invece chiede: sostanzialmente si tratta di tenere il confine tra Irlanda e Irlanda del Nord aperto, permettendo a quest’ultima di restare nel mercato comune almeno fino alla conclusione del cosiddetto “periodo di transizione” dell’uscita del Regno Unito, quindi fino al 2021. Un’opzione che il governo assolutamente non vuole contemplare, perché andrebbe contro il volere del Dup, il Partito democratico unionista dell’Irlanda del Nord, che con il suo sostegno ha permesso la creazione di una maggioranza dopo le ultime elezioni inglesi. L’unica possibilità, ha dichiarato May, è che questa opzione abbia una scadenza precisa e netta, allora potrebbe tornare sul tavolo della discussione. D’altro canto, se una parte dei Tory, i cosiddetti falchi guidati da Boris Jhonson,  si stringe sempre di più intorno al Dup e alle rivendicazioni di un «tradimento dei valori del referendum», c’è un’altra parte del partito più incline all’accordo di compromesso e aperto al dialogo. Oltre a questo, c’è l’opposizione di laburisti, guidata da Jeremy Corbyn che, reduce dei grandi consensi, non vede l’ora di andare alle elezioni anticipate. La sua visione del divorzio sarebbe permettere la permanenza doganale dia dell’Irlanda del Nord che dell’intero Regno Unito, per poi, forse, indire un secondo referendum.

Brexit no-deal, a mani vuote per la cena di domani

Sebbene il conto alla rovescia per l’ufficializzazione del divorzio sia già che avviato, i documenti non lo sono. Non c’è più Hard Brexit, non c’è più Soft Brexit, ma non c’è neanche il no-deal Brexit. C’è solo Theresa May, sempre più sola. Il suo governo perde consensi di giorno in giorno, nonostante la premier stia cercando di recuperare un po’ di simpatia dei concittadini con escamotage musicali e palesemente suggerite da qualche addetto alla comunicazione. Non viene presa sul serio a Bruxelles, dove hanno ridicolizzato l’accordo Chequers di cui tanto andava orgogliosa e che non è stato accettato nemmeno da Londra, perché «il paese non si divide in due». Insomma, le danno tutti addosso, e la cena di domani promette di essere l’ennesima batosta.

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(Credit Image: © Simone Kuhlmey/Pacific Press via ZUMA Wire)

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