Metro Roma, storia di una mattina di ordinaria follia

Ogni mattina un abitante di Roma guarda fuori alla finestra e se deve spostarsi, e malauguratamente fuori piove, sa che dovrà tenere saldi muscoli e nervi e prepararsi a  mantenere una modalità zen che lo accompagnerà fino all'”agognata” sede lavorativa. Sì, perché, come molti cittadini della Capitale sanno, spostarsi a Roma con il maltempo è un’impresa degna di un moderno Ulisse. Se poi si decide di utilizzare i mezzi pubblici, il tasso di eroismo (o d’incoscienza) raddoppia.

Preparato a questa eventualità anche io questa mattina mi sono recato alla mia fermata. Partivo dalla stazione metro Gardenie, quella della famosa linea C, la terza linea romana che congiunge la città con la sua periferia est. Quella dove è situato il quartiere di Centocelle, salito tristemente alla ribalta per il rogo alla Pecora Elettrica e al Baraka Bistrot e dove sono situati molti quartieri sotto i riflettori per l’inchiesta sulla “Terra dei fuochi” romana.  Un’area che vede spostarsi molti romani, verso le aree più centrali della città per lavoro, ma dove le metro continuano a passare una volta ogni nove minuti (se non ci sono problemi sulla linea).

Sceso sulla banchina della metro ho osservato la consueta folla di persone in attesa. Passa la prima metro. È stracolma. Qualcuno prova a forzare il blocco, si getta dentro il vagone, prima ancora che qualcuno dalle retrovie possa scendere. Decido di attendere. Passa la seconda. È di nuovo pienissima, ma decido che questa volta non posso attendere e, costi quel che costi, decido di entrare. Per farlo vengo spinto da chi mi è dietro, il mio corpo si pressa contro chi ho immediatamente davanti che si lamenta. Dico che non posso farci nulla, ed è vero, da dietro le persone premono e si resta così, come sardine in scatola. All’interno si respira a malapena. Il clima è qualcosa che è a metà tra i tropici e una sauna, mentre una ragazza dietro di me mi chiede per favore se mi posso spostare: non sta respirando. Girando lo sguardo vedo anche una persona anziana che non respira bene. Tutti stiamo sudando, qualcuno bestemmia, qualcun altro impreca contro la città. Un turista prova a chiedere cosa sta succedendo. La risposta è lapidaria: “Sta solo piovendo”. Resosi conto di non trovarsi di fronte all’uragano Katrina o a eccezionali piogge monsoniche, ma al normale corso del meteo di novembre in Europa, il turista scuote il capo perplesso.

Un’odissea consumata tra frustrazione e fatalismo

Attorno prevale un senso di fatalismo e frustrazione. Si avvicendano le fermate. Scendere, se non ci si trova davanti alle porte è un’impresa. Arrivati a San Giovanni, mi aspetta un’altra odissea. La fila per l’uscita è chilometrica: una scalinata è chiusa, e il fiume umano si riversa su una scalinata sola. In molti (me compreso) decidono di salire dalla scalinata destinata a chi scende. C’è scritto “Passaggio vietato”, nessuno decide di farci caso, anche se ci si incrocia e (talvolta) si urta con chi sta scendendo. Tornato un superficie arrivo nei pressi dei fantomatici tornelli per cambiare metro e approdare alla famosa linea A che mi dovrebbe portare a destinazione. Anche qui la fila è estenuante, e non c’è nulla da fare. Anche in questo caso c’è solo una scala mobile attiva, l’altra è rotta da mesi. Alcuni dei tornelli sono difettosi, mentre attorno tutti cercano di affrettarsi. In fila ancora bestemmie, quando provo a dire che no, non è possibile, due signore in coro ribadiscono: “Quando piove è così”. Riesco finalmente a scendere sotto. Controllo il mio telefono (nella linea C il telefono non è raggiungibile e, si ritorna con conforto o rassegnazione nel 1998) e tra le varie notizie, il saggio algoritmo di Google che tutto sa, decide di mostrarmi quello che mi convince di essere definitivamente dentro un’opera distopica. L’Atac, l’azienda per il trasporto di Roma, ha bandito un reality per i dipendenti.

Di che si tratta? Parliamo di una sorta di talent interno che l’azienda ha organizzato internamente per una festa di Natale. Lo spot sembra una parodia trash, ma purtroppo è reale. E non so se ridere o piangere mentre attendo, nella seconda banchina stracolma, la seconda metro della giornata. Decido di saltarne due: non è possibile infilare nemmeno un braccio nel vagone. Prendo la terza e comincia la seconda sudata della giornata, mentre mi stringo ad altri disperati. La situazione migliora leggermente dopo la stazione Termini, dove c’è il consueto “cambio di massa”. Poi la metro si ferma inspiegabilmente a Flaminio per qualche minuto, forse per obbligarci a riflettere sull’esistenza, chissà. Alle 9.25 riesco finalmente ad arrivare. Sono uscito di casa alle 8. Ho impiegato quasi un’ora e mezza per fare 10 km, quasi quanto ci avrei messo ad arrivare a Viterbo (senza traffico). Sono madido di sudore, e necessiterei di una doccia. Decido di affrettarmi perché sto già tardando di mezz’ora, mentre penso di essere in universo che mi sembra più evocare gli scenari filmati da Terry Gilliam in “Brazil” che quelli di una città europea. Benvenuti nella Capitale d’Italia.

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