Una nave per ricordare il piccolo Alan

Un corpo inerme diventato il simbolo di una tragedia epocale. Il 2 settembre 2015 il cadavere di un bimbo curdo viene trovato sulla spiaggia di Bodrum in Turchia. Il piccolo si chiamava Alan Kurdi. Era curdo e aveva appena 3 anni. Si era imbarcato la sera prima, su un barcone di fortuna, per raggiungere l’isola di Coo in Grecia, una delle tante porte di quella terra promessa chiamata “Europa”.  Le cose però non erano andate come sperato. Il barcone si era ribaltato, come spesso avviene in molti viaggi della disperazione e a farne le spese erano stati, come al solito, molti viaggiatori, inghiottiti da quel “Mare Nostrum” sempre più simile a un cimitero.

A immortalare il corpo del piccolo c’è Nilufer Demir , una fotografa turca che assiste alla scena e decide di consegnarla alla storia. L’unica cosa che potevo fare era fare in modo che il suo grido fosse sentito da tutti” dichiara  e il piccolo diventa un simbolo, un fotogramma dal quale non si può più distogliere gli occhi.

Il nome di Alan diventa un simbolo

Oggi Alan torna a rivivere in un progetto per far sì che tragedie come la sua non avvengano più. Una nave usata dall’organizzazione umanitaria tedesca Sea-Eye per il salvataggio dei migranti in mare è stata ribattezzata oggi nel corso di una cerimonia che si è svolta nel porto di Palma de Mallorca proprio con il suo nome. Ed è proprio con la forza di questo simbolo che l’ONG tedesca si prepara a tornare nel Mediterraneo, nonostante le polemiche e le difficoltà di questi ultimi mesi. Commossa la reazione del padre del piccolo “Siamo felici che

una nave di salvataggio porti il nome di nostro figlio. Alan sulla spiaggia non dovrà mai essere dimenticato”

Le lezione di Alan quattro anni dopo

Quando fu trovato il corpo di Alan il contraccolpo sull’opinione pubblica fu notevole: la foto del piccolo permise a tutti di realizzare le dimensioni della tragedia del Mediterraneo e del conflitto siriano. Lo scatto ebbe anche ripercussioni politiche concrete, anche se putroppo solo temporanee. A quasi quattro anni di distanza e, al tempo della “tolleranza zero” e (perfino) dei sospetti sull’operato delle ONG, il corpo del piccolo Alan resta un monito puntato sulle nostre coscienze. Un simbolo dal quale anche l’ONG tedesca sembra voler ripartire contro le troppe mistificazioni volte, spesso, solo a voltare lo sguardo dall’altra parte rispetto ai tanti “Alan” che continuano, purtroppo, a solcare e morire nel Mediterraneo.

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