Brexit: L’emendamento ribelle che incastra, ancora una volta, Theresa May

La data cruciale che poteva porre la parola fine al travaglio della Brexit doveva essere il 15 gennaio, giorno in cui il Parlamento britannico voterà il piano proposto da Theresa May. Nonostante il primo ministro continui a invocare il sostegno della Camera, le fila degli avversari si continuano ad ingrossare. Tanto che mercoledì sera è stato approvato un emendamento che obbligherà May a presentare entro 3 giorni un piano B se, come si prevede, il piano concordato con Bruxelles non dovesse passare.

Brexit, May sconfitta due volte nel giro di 24 ore

A proporre l’emendamento è stato il conservatore ed ex procuratore generale Dominic Grieve. Approvato con 308 voti favorevoli e 297 contrari, obbliga Theresa May a presentare entro tre giorni lavorativi un piano B per Brexit qualora il 15 gennaio il Parlamento bocciasse l’accordo scritto con Bruxelles. L’esito del voto è praticamente sicuro: il piano di Theresa May non passerà. Scontenta davvero tutti: dall’opposizione laburista fino ai Brexiters, passando per gli unionisti irlandesi e ai conservatori filo-europei. Già martedì i deputati avevano approvato un emendamento che sottrae al governo i fondi necessari per affrontare l’opzione no deal, e la seconda sconfitta di May nel giro di 24 ore conferma la linea battagliera assunta da un Parlamento unito contro di lei.

La paura di una Brexit no-deal: tra referendum ed elezioni generali

L’unico elemento che unisce un Parlamento cosi diviso, e il terrore del no deal, ovvero di un divorzio dall’Unione Europea senza accordo.Lo schieramento guidato dalla conservatrice Nicky Morgan, alla guida della commissione finanze, e dalla laburista Yvette Cooper, a capo della commissione Interni, ribadisce che sarebbe un salto nel buio, assolutamente da evitare. Ma un accordo che metta in pace tutti, non si riesce a trovare. Ogni passo avanti che Theresa May fa con Bruxelles si trasforma in 2 passi indietro con il Regno Unito, e viceversa. Ecco perché l’ultimo emendamento obbliga il primo ministro ad avere un piano B pronto. La risposta di Theresa però è sempre la stessa: questo accordo è il migliore che possiamo ottenere, non ci sono chances di un piano alternativo. L’empasse sembra insuperabile. Jeremy Corbyn, leader dell’opposizione laburista, invoca nuova elezioni per sciogliere la matassa. «Un governo che non può far affari con la Camera dei Comuni non è un governo – ha sostenuto Corby –  Quindi dico a Theresa May: se sei così fiduciosa nel tuo accordo, invoca le elezioni e lascia che la gente decida». Eleggere un nuovo governo in corsa, anzi, così vicino alla deadline del 29 marzo, potrebbe rendere la situazione ancora più caotica. Così come un secondo referendum rischierebbe di dover spostare la data dell’uscita, prevista per il 29 marzo, ancora più in là, Bruxelles permettendo s’intende. Si tratta delle soluzioni più estreme, ma tra i deputati inglesi è tornata in voga anche l’idea di proporre un divorzio alla Norvegese. In questa maniera il Regno Unito resterebbe nel mercato unico e potrebbe attutire il contraccolpo.

(Credits immagini di copertina:  © Dinendra Haria/SOPA Images via ZUMA Wire)

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