Le provocazioni di Salvini alla magistratura sulla Diciotti ricordano quelle di Mussolini sul delitto Matteotti

Il 3 gennaio 1925 l’amplificatore massimo per il discorso di un politico erano gli scranni della Camera dei Deputati. Oggi, a 93 anni di distanza, quel megafono è diventato Twitter. Ed è così che, per una sorta di collasso spazio-temporale (involontario fino a un certo punto) arriva inevitabile il confronto: Salvini come Mussolini, il primo sulla nave Diciotti, il secondo sul delitto Matteotti.

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Salvini come Mussolini, il parallelo storico con il discorso del 3 gennaio 1925

Le provocazioni nei confronti dei giudici, infatti, è evidente nel tweet del ministro dell’Interno sulla questione dei migranti ancora in attesa di sbarco sulla nave della Guardia Costiera. Nel porto di Catania, infatti, sono state trattenute 150 persone, a cui è stato impedito di mettere piede a terra. Sulla vicenda sembra si stia muovendo la magistratura, come ricordato anche dallo stesso Matteo Salvini in un tweet di due giorni fa, dai toni fortemente provocatori.

Salvini come Mussolini, il tweet provocatorio nei confronti della magistratura

«Pare che per la nave Diciotti – scrive il ministro dell’Interno -, ferma a Catania, la Procura stia indagando “ignoti” per “trattenimento illecito” e sequestro di persona. Nessun ignoto, INDAGATE ME! Sono io che non voglio che altri CLANDESTINI sbarchino in Italia. Se mi arrestano, mi venite a trovare Amici?».

Quell’«indagate me», quell’ammissione di responsabilità sulla vicenda, ricorda molto da vicino una frase pronunciata da Benito Mussolini in Aula il 3 gennaio 1925, nel discorso che dalla storia viene ricordato come l’ammissione di responsabilità – quantomeno morale – del delitto del deputato Giacomo Matteotti, verificatosi il 10 giugno 1924.

Salvini come Mussolini: il primo sulla nave Diciotti, il secondo sul delitto Matteotti

Benito Mussolini affermò, con assoluta mancanza di rispetto delle istituzioni e della sacralità della stessa Camera dei Deputati, «Sono io, o signori, che levo in quest’Aula l’accusa contro me stesso». Se si fa eccezione per la prosa futuristica di inizio Novecento – diversa dal linguaggio colloquiale dei social network, con tanto di emoticons -, il messaggio percepito è lo stesso.

Matteo Salvini, come in quella circostanza il dittatore, si assume la responsabilità morale di un gesto e sfida la magistratura sul terreno delle leggi, credendo di esserne al di sopra per il semplice fatto di ricoprire il ruolo di ministro dell’Interno. E un brivido percorre la schiena.

FOTO: ANSA/ETTORE FERRARI

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