Facebook è come guidare l’auto. Anzi, peggio

Quando l’uomo decide di affidarsi a un mezzo di solito lo fa per motivi pratici.

L’uomo guida un’auto perché è comoda, fa risparmiare tempo, a volte guidare, soprattutto guidare un certo tipo di auto, trasmette agli altri un’immagine di noi che ci piace. Guidare un’auto ci rende liberi, o meglio, ci fa credere di essere liberi, perché banalmente in macchina non possiamo andare dove vogliamo.

Utilizzare un mezzo poi, può sottendere anche altri aspetti che sono inevitabilmente legati al fatto che stiamo appunto usando quel mezzo. Quando guidiamo una macchina, va da sé si inquina l’ambiente. Non conta come la usiamo: piccoli spostamenti, lunghi tragitti, guida nervosa o rilassata, comunque la si guardi, anche poco, ma stiamo inquinando. Inoltre, abituarsi a usare una macchina rende l’uomo fisicamente pigro.

Tuttavia, l’uomo guida le auto perché a un certo punto chi le vendeva ci ha convinto che avremmo vissuto meglio con quattro ruote sotto il sedere. Avevano ragione? Non lo so, quando sono nato nel 1981 le macchine c’erano già e non ho metri di paragone del prima per esprimere un parere, ma so cheoggi, e già da diversi anni, ci arrabattiamo giustamente in domeniche a piedi e targhe alterne, nella costruzione di auto elettriche o ibride tutto per tentare di rimediare a quella che è stata la sottostima di un problema. Già, lo dobbiamo fare perché quell’aspetto negativo che quando ci hanno convinto a comprare le auto non era così evidente, col tempo ci ha fregati e tanto anche.

Ecco temo che la stessa cosa possa accadere con Facebook.

Facebook esattamente come le auto è un mezzo. Ci hanno convinto che ne avevamo bisogno perché è comodo per restare in contatto con gli altri, ci fa risparmiare tempo nell’informarci e ci dà un’immagine piacevole. Ci hanno convinti che su Facebook saremmo stati liberi ed è una bella sensazione, ma essere liberi in un contesto in cui non si conoscono le regole -gli algoritmi- alla lunga diventa una sensazione bislacca. Per giocare a calcio devo sapere che, escluso il portiere, non si può prendere la palla con la mano, se questa regola non è esplicitata, ogni volta che mi viene voglia di prendere la palla in mano lo faccio, ma poi la conseguenza logica è la panchina. Per essere libero devo conoscere i motivi per cui non lo sono o la mia supposta libertà è liquida e può essere data o tolta a piacimento altrui.

Con Facebook sono libero di esprimere un parere, all’interno di un mezzo di cui non controllo assolutamente nulla. Eppure, ci hanno convinto che usandolo la nostra vita sarebbe stata migliore e sicuramente ha lati positivi, ma per come lo usi lo usi e, esattamente come la macchina, anche Facebook inquina, solo che lo fa col tempo e non lo spazio. Non solo, lo fa con la col tempo dei singoli individui ed è più difficile rilevare una soglia globale di allarme. Il problema non è neppure passare tre ore al giorno su Facebook, il problema è cosa si potrebbe fare in quelle tre ore di alternativo. Facebook esattamente come le auto ci rende pigri, ma da un punto di vista mentale, ci abitua a non pensare, o meglio ci abitua a pensare dentro a un determinato contesto. Il fatto è che pensare è un esercizio, ne più ne meno come fare le flessioni, se non sono abituato, mi spompo subito.

Io sono sempre del 1981, mi ricordo com’era quando non c’era Facebook, ho metri di paragone, ma i più giovani no e forse gli stiamo insegnando a pensare in modo strano. Sarebbe brutto se tra trent’anni dovessimo fare le domeniche del pensiero, per disintossicarci mentalmente, per godere di nuovo della possibilità di pensare davvero senza un costrutto imposto.

Sarebbe bello se questi e altri pensieri se li ponessero i grandi editori, soprattutto in un periodo di elezioni dove più che mai conta informare e non informare su Facebook che è un’altra cosa. Lì c’è un costrutto che non si può controllare.

Sarebbe bello se questo articolo per avere un po’ di visibilità avesse un altro mezzo per essere letto che non fosse Facebook.

 

(Foto Dpa da archivio Ansa)

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