FaceApp e i suoi fratelli: ci sono tante app che usano l’AI a partire dalle tue foto

Si tratta sempre di utilizzare gli stessi meccanismi. Il più delle volte il problema è sempre legato alla sicurezza nella conservazione dei dati

09/12/2022 di Redazione

Quando si utilizza un’applicazione per il foto-ritocco (di qualsiasi natura esso sia), occorre sempre stare molto attenti al livello di sicurezza che quest’ultima applicazione porta con sé. Non è detto, infatti, che le immagini che vengono per forza di cose condivise con le aziende che sviluppano queste applicazioni rispettino tutti gli standard di garanzia per tutelare gli utenti che le scaricano. Abbiamo lungamente parlato, nella giornata di oggi, di Lensa AI e abbiamo citato il caso di Clearview AI (non propriamente un’app di foto-ritocco, ma una sorta di database di volti e di persone che, alla fine del 2022, potrà contare su 100 miliardi di immagini). Ma non si tratta degli unici casi che vengono attenzionati dagli addetti ai lavori.

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App foto-ritocco rischiose per la privacy

Avevamo parlato, qualche anno fa, della moda del momento: quella che permetteva agli utenti – soprattutto dei social network – di condividere il loro volto invecchiato. Si trattava della moda di FaceApp, una applicazione che – sulla base di un selfie scattato dall’utente dell’applicazione – mostrava il volto dello stesso utente invecchiato di diversi anni. Tutti si sono fiondati in questa sorta di macchina del tempo virtuale, che aveva la pretesa di mostrare il viso del futuro. L’app – sviluppata dal team di Yaroslav Goncharov – vantava diritti illimitati sulle fotografie che venivano caricate dagli utenti e questi dati venivano trasferiti in Russia. Erano bastati questi due elementi a sollevare un’ondata di polemiche sulla sicurezza delle informazioni e a coinvolgere persino le istituzioni americane, allarmate per l’impiego che si sarebbe potuto fare dell’applicazione. A poco erano valse le dichiarazioni di Goncharov in difesa della sua applicazione: sulla cancellazione delle foto entro 48 ore dal caricamento e sulla reale portata del trasferimento dei dati in Russia (in realtà, il server utilizzato era quello di AWS). FaceApp è rimasto un problema aperto che – al di là delle obiezioni e delle difese su queste ultime – ha comunque sollevato il velo di Maia sulle applicazioni di foto-ritocco.

Altri casi di app foto-ritocco problematiche

Un’altra polemica si era generata qualche tempo fa sull’app cinese Meitu. Quest’ultima richiedeva all’utente l’accesso alla fotocamera, alla galleria fotografica e ad altre informazioni dello smartphone da cui veniva avviata. L’obiettivo di Meitu era quello di restituire all’utente delle immagini modificate di se stesso, riprodotte con lo stesso stile manga o anime. Anche in questo caso, c’è stato il balletto delle accuse e la controrisposta delle difese: i gestori dell’applicazione hanno sottolineato come Meitu, in realtà, raccogliesse dati al solo scopo di offrire il miglior servizio possibile agli utenti e la migliore targettizzazione della pubblicità in-app.

Anche le Beauty-Cam app, un’intera categoria di applicazioni utili a ritoccare i propri selfie direttamente al momento dello scatto (in una società digitale e virtuale dove la forma conta molto di più della sostanza alcuni utenti dei social network la ritenevano un vero e proprio “medicinale” per piacersi di più) è stata messa nel mirino per possibili problemi di sicurezza. Si andava dall’installazione di malware a vere e proprie azioni di spamming dal punto di vista della pubblicità. Alcuni gruppi di ricercatori indipendenti hanno segnalato le disfunzioni di ben 36 applicazioni che sono state conseguentemente rimosse dal Google Play Store.

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