Il miliardario australiano che fa causa a Facebook per le pubblicità-truffa sulle criptovalute con il suo volto
Il nome e la faccia di Andrew Forrest, presidente di Fortescue Metals, sono comparsi in alcuni annunci malevoli sul social e Meta non ha fatto nulla per impedire che ciò avvenisse
04/02/2022 di Enzo Boldi
Danno di immagine e non solo. Il miliardario australiano Andrew Forrest – presidente della Fortescue Metals, quarto produttore di minerale di ferro al mondo – ha deciso di fare causa a Meta. Il motivo è molto semplice: Facebook ha ospitato in diverse occasioni degli annunci-truffa che utilizzavano il suo nome e il suo volto per sponsorizzare finte compravendite attraverso criptovalute. E sullo sfondo ci sono anche le leggi australiane contro il riciclaggio di denaro.
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«Sono preoccupato per gli australiani innocenti che vengono truffati attraverso la pubblicità di clickbait sui social media», ha spiegato il magate australiano dopo aver presentato la denuncia contro Meta. E nella causa si fa un riferimento esplicito al fatto che l’azienda big tech «trae profitto consapevolmente da questo ciclo di annunci illegali». Perché la dinamica è sempre la stessa, nota in tutto il mondo: pagine truffa utilizzano il volto e il nome di personaggi loro per cercare di convincere utenti ad acquistare false critpovalute.
Andrew Forrest, il miliardario che fa causa a Facebook
E Facebook rischia di essere travolta da questa denuncia, da questa causa e da questo processo. Perché il caso Andrew Forrest non è isolato. In passato, per esempio, vi abbiamo raccontato di come questa dinamica sia stata riscontrata anche in Italia: dal caso Antonino Cannavacciuolo a quello che ha visto come “protagonista” Piero Angela. Due fatti differenti per modalità, ma con lo stesso scopo. Se per quel che riguarda il noto chef campano si faceva riferimento a un finto articolo del quotidiano La Repubblica (condiviso anche sulla piattaforma social) in cui si parlava dei suoi guadagni attraverso i bitcoin, nel caso del divulgatore scientifico tutto è partito da una pagina fake che rimandava a un link malevolo in cui si consumava la truffa (attraverso la richiesta di dati personali e bancari per ricevere i soldi che avrebbe “regalato).
Due raggiri condivisi su Facebook che, di fatto, è editore (anche secondario) di tutto quel che viene postato. Dunque ha responsabilità anche per eventuale truffe? Questo lo deciderà la Magistrates Court of Western Australia, dopo la denuncia presentata dall’imprenditore presso il Tribunale della California, dove ha sede Meta.
(foto di copertina: da pagina Facebook)