Rabbia sociale e indignazione fanno ottenere «più traffico e introiti pubblicitari» a Facebook
Continua il viaggio all'interno delle verità nascoste di Facebook, che cavalca l'indignazione e la rabbia sociale per fare più soldi
16/09/2021 di Ilaria Roncone
Nel 2018 Facebook ha appositamente modificato il suo algoritmo perché privilegiasse contenuti più aggressivi e provocatori. Mentre il team interno proponeva a Zuckerberg una serie di soluzioni per ammorbidire le conseguenze di questa scelta, Zuckerberg ha rifiutato qualsiasi compromesso per paura che click e utenti sulla piattaforma calassero. Un’altra faccia ancora di quella medaglia che vede da un lato quello che Facebook dichiara pubblicamente e dall’altro quello che si può estrapolare da una serie di documenti interni all’azienda.
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Con post aggressivi e offensivi la gente passa più tempo su Facebook
Frutto di un’inchiesta a puntate fatta dal Wall Street Journal, il lavoro del quotidiano su Facebook sta facendo emergere una serie di verità nascoste sulle dinamiche e le decisioni interne all’azienda. Visionando documenti riservati, il giornale di New York ha scoperto una serie di verità diverse da quelle dichiarate pubblicamente dalla piattaforma di Zuckerberg. La piattaforma spinge i suoi utenti a condividere post offensivi e aggressivi poiché questi contenuti aumentano il traffico e il tempo degli utenti sui social.
Dopo aver scoperto che esiste una lista di persone che hanno potuto pubblicare tutto ciò che volevano senza conseguenze e che Facebook è sempre stato consapevole dei danni che comporta l’utilizzo di Instagram, ora emerge una nuova verità anche sui post offensivi che Facebook dice di combattere quotidianamente. Più tempo passato sui social e più traffico significano, per Facebook, più introiti pubblicitari.
La modifica all’algoritmo che ha cambiato le cose
Del cambiamento di direzione di Facebook i giornali se ne erano già accorti nel 2018. Abbiamo Jonah Peretti, ad di BuzzFeed, che già nel 2018 ha segnalato alla piattaforma come un suo contenuto – inerente affermazioni politicamente scorrette di persone bianche su persone nere – fosse diventato virale con oltre 60 mila commenti offensivi sotto.
La rabbia sociale nutre l’algoritmo di Facebook, in sostanza, che così facendo propone sempre più contenuti di questo tipo e che portano a queste reazioni. Così facendo, vedendo il successo di determinati tipi di contenuti che alimentano la rabbia social, si tende anche a produrne di più – sia i giornali che gli utenti -. Schiavi del click, si tende tutti a farsi direzionare.
Zuckerberg parla della modifica dell’algoritmo fatta nel 2018 come un’azione per rafforzare i legami che si creano tra gli utenti andando a migliorare il loro benessere. Secondo quanto visionato dal Wall Street Journal, invece, l’obiettivo era quello di scatenare sempre più indignazione e rabbia perché portano traffico e più tempo speso sui social.
I documenti visionati dal Wall Street Journal mostrano però come, in realtà, la società perseguisse l’obiettivo diametralmente opposto. Non solo. Il team di Facebook incaricato di migliorare la qualità e l’affidabilità dei contenuti avevano sottoposto a Zuckerberg una serie di modifiche pensate per frenare la tendenza dell’algoritmo a premiare indignazione e notizie false in grado di alimentare dibattiti infuocati. Il fondatore del social ha però rifiutato queste opzioni nel timore che potessero far diminuire utenti e click.
Solo i contenuti discutibili come la disinformazione erano immuni al calo
Il Wall Street Journal riporta che Facebook, per quanto riguardava interazioni e traffico, stava calando nel 2018. Solo contenuti come «disinformazione, tossicità e violenza» erano immuni al calo. Da questo dato deriva la scelta di aumentare la rilevanza di questi contenuti. I ricercatori interni a Facebook hanno scritto: «Disinformazione, tossicità e contenuti violenti sono troppo preponderanti tra le ricondivisioni. Il nuovo approccio ha avuto effetti collaterali dannosi su importanti porzioni di contenuti pubblici, come la politica e le notizie». Con la consapevolezza che «molti partiti, compresi quelli che hanno sposato questa linea, sono preoccupati per gli effetti a lungo termine sui sistemi democratici».