Ottobre 2018, Di Maio: «Whirpool non licenzierà nessuno». Maggio 2019, chiude lo stabilimento di Napoli

31/05/2019 di Enzo Boldi

Quasi un anno di governo M5S-Lega e una cosa la stiamo imparando sulla nostra pelle: non bisogna mai esultare prima del tempo. Era già accaduto con la famosa «abolizione della povertà», con tanto di messa in scena dal balcone di Palazzo Chigi con il pugno rivolta al cielo in segno di vittoria; adesso si ripete con la questione delicatissima della Whirpool. L’azienda statunitense, infatti, ha deciso di chiudere il proprio stabilimento a Napoli, mettendo a repentaglio il lavoro di 430 operai.

Il tutto nonostante la contrattazione tra il Mise, Luigi Di Maio e gli stessi vertici dell’azienda. E non parliamo di decadi fa, ma dello scorso mese di ottobre. Sette mesi in cui da parte del dicastero dello Sviluppo Economico c’è stata un’assenza di controllo per verificare che gli accordi fossero rispettati. Perché il compito di un ministro e dei suoi tecnici non è solo quello di stilare accordi, ma anche quello di monitorare l’andamento di quanto stabilito attorno ai tavoli di lavoro e confronto. E tutto ciò, vedendo cosa è accaduto oggi nello stabilimento Whirpool di Napoli, non sembra essere accaduto.

Whirpool chiude lo stabilimento a Napoli nonostante gli accordi con Di Maio

Era il 30 ottobre del 2018 e dopo una lunga settimana di confronti con i vertici dell’azienda americana, il Mise era riuscito ad arrivare a dama, garantendo un futuro a tutti i lavoratori che lavoravano per tutte le sedi della Whirpool, da Nord a Sud. Nessun licenziamento, anzi. Un accordo di gran successo che avrebbe portato in Italia anche la produzione che era finita in Europa. Ecco l’esultanza soddisfatta di Luigi Di Maio su Facebook.

Un ministero dovrebbe vigilare e non solo firmare accordi

Annunci, auto-applausi e poi arriva il classico motto «passata la festa, gabbato lo santo». Una festa durata pochi giorni, arrivando fino a oggi, 31 maggio 2019: sette mesi dopo. La Whirpool decide di vendere lo stabilimento di Napoli, mettendo a repentaglio il futuro dei 430 operai che lavorano lì dentro. Si tratta di un qualcosa che, sicuramente, non rientra in quegli accordi siglati con orgoglio da Luigi Di Maio. Ma erano sia lui e sia i suoi uomini a dover verificare, giorno per giorno, che il tutto fosse rispettato pedissequamente. Ma poi è iniziata la campagna elettorale e il santo è stato gabbato.

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