Il web inquina tanto. E le news sui social stanno diventando sempre meno sostenibili

La proliferazione del materiale informativo sulle varie piattaforme, l'utilizzo di video e di forme visuali sempre più complesse: sono tutti fattori che rendono internet un grande Paese energivoro

20/07/2022 di Gianmichele Laino

In un momento in cui si parla di sostenibilità energetica, di cambiamento climatico, di temperature che si innalzano e rendono invivibili le nostre estati, di ghiacciai che si sciolgono e di altre tragedie legate al cambiamento dell’ecosistema Terra, non si può ignorare un tema che – da questo momento in poi – sarà sempre più presente nel dibattito pubblico. Sarebbe come buttare la polvere sotto al tappeto, in nome di una maggiore accessibilità al mondo dell’informazione. Il web inquina. Tanto. Non è una novità – perché il report è stato diffuso già diversi mesi fa – che le cosiddette aziende FAANG (Facebook, Apple, Amazon, Netflix e Google) consumino CO2 come un Paese di grandi dimensioni: nel 2020 hanno emesso 98,7 milioni di tonnellate di CO2: più della Repubblica Ceca e poco meno del Qatar. Attenzione: non si tratta soltanto di un problema di queste aziende Big Tech, ma anche di ogni utente che le utilizza. Nel quantitativo di consumi non vengono inseriti soltanto i pesi specifici dei datacenter (questo problema è stato recentemente analizzato dall’Unione Europea), ma anche l’impatto di ogni nostra azione sulle piattaforme che abbiamo citato in precedenza. Ed è inevitabile – visto che si parla di Google e di social network – che chi si occupa di informazione debba prendere in considerazione anche l’impatto e il peso specifico della diffusione delle news su questo dato preoccupante.

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Web inquina: qualche dato statistico

Nell’ottica dell’educazione digitale, è bene sensibilizzare l’opinione pubblica su un tema specifico, anche facilmente intuibile. Ogni azione che facciamo sul web comporta un dispendio energetico. Non stiamo parlando soltanto e banalmente della carica della batteria dei nostri device o – come specificato in precedenza – dei costi di produzione che devono sostenere le grandi piattaforme Big Tech (ad esempio, lo ripetiamo, con la costruzione di nuovi datacenter): un tweet, una ricerca su Google, l’invio di una mail comportano una produzione di CO2. Moltiplicatela per tutti gli utenti del web che esistono sul pianeta e i volumi saranno decisamente importanti.

Probabilmente non come le previsioni più pessimistiche che erano state indicate nel 2019 dal The Shift Project (che, nel frattempo, ha anche realizzato una piattaforma per il calcolo della CO2 per ogni azione digitale che realizziamo), che non sono state pubblicate in una rivista scientifica e che indicavano il web come fonte del 4% globale della produzione di CO2. Ma sicuramente, come altre analisi e ricerche hanno dimostrato, il problema esiste: stime più realistiche sui consumi di CO2 legati al web presentano comunque dei dati molto significativi, con percentuali che si attestano intorno tra l’1,8% e il 2,8%. Per fare degli esempi pratici, un approfondimento della BBC nel 2019 dava valori di CO2 per ogni azione che realizziamo: una mail di spam emette 0,3 grammi di CO2, una mail che finisce nella nostra casella della posta da leggere (solo con testo e senza allegati) arriva a emettere 4 grammi di CO2, una mail con allegati e foto arriva anche a emettere 50 grammi di CO2. Un tweet può consumare 0,2 grammi di CO2.

Gli studi e gli strumenti italiani sul consumo energetico del web

Il problema si sta ponendo in maniera molto decisa, finalmente, anche nel panorama economico italiano. Ci sono delle realtà che stanno studiando l’ottimizzazione energetica delle pagine web, anche in ottica di ricerca. Avantgrade.com, ad esempio, è una agenzia di digital marketing e SEO. Al suo interno ha incubato uno strumento, Karma Metrix, che permette a ogni possessore di un sito web di misurare la propria sostenibilità ambientale in base a diversi fattori (l’emissione di Co2 per ogni gigabyte su internet, l’elettricità consumata in un anno da internet, eventuale peso per invio di mail e per ricerca sul web, ecc.). Abbiamo testato Giornalettismo, ad esempio, e risulta eco-sostenibile, emettendo il 5% in meno di CO2 rispetto alla mediana mondiale.

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Ale Agostini, CEO di Avantgrade.com

«Karma Metrix – ci spiega Ale Agostini, CEO di Avantgrade.com – è un algoritmo che, analizzando le pagine web per diversi fattori, va a quantificare la CO2 emessa dalle sessioni web di un sito, andando a calcolare prima quante sono le sessioni e poi quanto questa pagina produce effettivamente in termini di CO2. Noi partiamo da una conoscenza specializzata degli algoritmi di Google e da lì abbiamo mutuato una serie di ulteriori considerazioni sull’efficienza energetica».

Agostini ci ha spiegato quali sono gli elementi, interni a una pagina web, che possono impattare maggiormente sul consumo di CO2. «A parità di visite, una pagina web è più o meno efficiente in base al colore che utilizza. Qualche mese fa, Google ha deciso di rendere disponibile la modalità schermo nero. Questa cosa è un restyling grafico grosso fatto perché il nero ha un consumo energetico molto più basso: se tutti i fruitori di Google usassero il nero, sia l’azienda, sia i nostri telefonini ne gioverebbero. Una stima ci porta a pensare che il risparmio energetico derivante da questa scelta potrebbe arrivare fino al 9%. Un altro elemento che impatta molto sul consumo energetico delle pagine è la presenza di un elevato numero di script che, a volte, risulta completamente inutile rispetto alla fruizione finale del sito: succede per tante pagine web, in alcuni casi che ci è capitato di analizzare questo aspetto arrivava a pesare fino al 30% del consumo energetico delle stesse pagine web». Ottimizzare le immagini, ridurre l’uso di web fonts, perfezionare i risultati di ricerca interni, attivare il darkmode e creare una pagina di risparmio energetico possono essere sicuramente degli elementi di partenza per rendere un progetto web più sostenibile.

E, alla luce di questi aspetti, si genera – chiaramente – una riflessione che riguarda il nostro mondo, quello delle news. A fronte di siti web che, normalmente, sono spesso sostenibili, la replicazione delle loro notizie sugli aggregatori dei motori di ricerca o sui social network, la loro trasposizione in video per TikTok, per i reels di Instagram, per il feed di Facebook non fa altro che creare inquinamento sul web. Il risultato è che la richiesta di rapidità di informazione, di news mordi e fuggi, di formule che fanno preferire la visione superficiale dei contenuti a fronte di un approfondimento testuale (e – quindi – di tutto ciò che definiamo contenuti di qualità) dà un contributo importante in termini di emissioni di CO2. Rendendo l’informazione su internet meno sostenibile che in passato.

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